La rinascita della DC: tra somiglianze e nuovi profili

Luigi RapisardaCome sempre, interessante e pregevole l’articolo di ieri di M. Follini su Il Domani d’Italia dal titolo: “Somiglianze improbabili. La storia finita della DC”.                                                                                                                L’articolo si chiede, e non è la prima volta, se possono rinvenirsi somiglianze nell’azione politica dei leader odierni o nel loro partito con la DC.                                         Così sin dalle prime battute leggiamo:                                                                       ”Il racconto che di tanto in tanto riaffiora secondo cui Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, starebbe prendendo caratteri “democristiani” in virtù del suo primato numerico e governativo appare come una delle invenzioni più debosciate del nostro attuale discorso pubblico.                                                                       Non c’è nulla di democristiano né nella Meloni né nel suo partito. Cosa sulla quale peraltro si trovano d’accordo la gran parte di quanti hanno voluto bene alla Dc e la gran parte di quanti vogliono bene alla premier. Eppure quella ricerca di improbabili somiglianze di tanto in tanto riaffiora, quasi a voler dire che il nostro destino politico evolve sempre per imperscrutabili continuità e mai per innovazioni, buone o cattive che siano.”.                                                               Ora il problema, come si diceva, non è nuovo.                                                              Del resto è lo stesso Follini che ricorda come già nella precedente legislatura si attribuissero a Conte atteggiamenti e stile democristiano.                                          Di certo è che l’esperienza della DC, almeno per come si è concretizzata nei cinquant’anni di vita politica fino al suo apparente scioglimento e riconversione con Martinazzoli nel Ppi, non sarà più ripetibile.                                                         Una constatazione, seppur ovvia, che nessuno può negare, nemmeno chi oggi è impegnato a rifare la DC.                                                                                                     Sia perché ogni prassi politica è figlia del suo tempo e quindi non può che essere contestualizzata, ed in quel percorso politico il ruolo della DC fu tutto proiettato nel fare argine ad un temibile blocco comunista che avevamo proprio ai confini delle nostre frontiere, e nel ricostruire, cosa che seppe fare egregiamente, un paese stremato da una guerra brutale e fratricida; sia perché un vuoto di attività e di esercizio del potere, per ben trent’anni, non può consentire di ritrovare un classe dirigente ben addestrata, capace di scelte e azioni che in qualche modo ne riproponesse stile e capacità di mediazione.                                                                 Così l’autore giunge, ancora una volta alla facile conclusione che non v’è’ che:“..Prendere atto che la storia democristiana è finita da quel dì e non sarà più ripresa”.                      Certo ce ne vuole a dare della democristiana a G. Meloni, pur con i suoi tentativi di stop and go nel governo, attenta a mediare nelle strettoie di un confronto politico con le opposizioni, per non farsi scavalcare a destra dalle provocatorie iniziative del solito Salvini “di lotta e di governo”. La conclusione di M. Follini forse appare un po’ affrettata e richiede di ingrandire il focus riguardo al contesto politico attuale .                                                                                                                                       Ciò che emerge dal Suo pregevole commento è il fatto di aver ignorato, o non aver valutato con il dovuto realismo, il tentativo di ripresa dell’esperienza democristiana, sia pure, in una nuova chiave di lettura, attualizzata, appunto,al contesto politico nell’intento di dare risposte in chiave, stile e visione politica e con il proposito di costante apertura al dialogo con le altre forze politiche, in conformità e nel pieno rispetto dei principi e dei valori scolpiti nella nostra Costituzione.                                 Così l’occasione non ci pare di poco rilievo per non addentrarci in una, sia pur breve, messa a fuoco del nobile tentativo di rifare la DC.                                                       Intanto non si può negare quanto sia stato fervente lo spirito pionieristico dei promotori nell’iter con cui si è proceduto a celebrare il XIX Congresso nel 2018, nel quale c’è stato persino un riconoscimento giudiziale(Sentenza resa lo scorso anno dal Tribunale di Roma sul ricorso di due iscritti)nell’essersi  fedelmente attenuti alle direttive operative dettate nel noto provvedimento giudiziale del 2016 del giudice Romano del Tribunale di Roma che ne asseverava le conformità allo Statuto.                  Una iniziativa valorosa non foss’altro perché non si poteva accettare di chiudere politicamente, dopo che le Sentenze ne avevano accertato il mancato scioglimento, un percorso politico così denso di valori e di principi che hanno consentito di costruire una società libera e prosperosa, dalle macerie della guerra.                                  Chiaramente al di là dei nominalismi nessuno si nascondeva il fatto che  non è facile riproporre un partito nella sua versione originaria.          Così come è impossibile riprodurne fedelmente l’opera quando si agisce in realtà diverse, espressioni di epoche diverse.                                    Al contempo si era consapevoli del percorso irto di ostacoli, che in qualche modo finiscono con il deformarne il profilo.                         Di certo poi non ha pesato positivamente la singolare vicenda legata alla inibita spendita dell’uso dello scudo crociato, al momento inopinatamente in uso all’Udc, pur se disgiunto dalla originaria titolarità, che resta in capo al partito storico, ma che paradossalmente non consente al partito riedito di poterne riproporre l’originario simbolo.                                                  A ciò si innesta l’emergente tendenza della nuova segreteria Cuffaro ad una angusta regionalizzazione.                    Alludiamo ovviamente all’enorme sproporzione tra i consensi registrati in Sicilia e la pressoché esigua percentuale nel resto dei territori dove in questi due anni si è votato.  Questioni che ad uno sguardo esterno potrebbero fare affievolire ogni idea della somiglianza e della continuità.                                        Quel che soccorre però sono i contenuti del rinascente partito, ove appare inequivoca la volontà di riproporsi nel solco della costante orientamento che trova le sue radici in primis nella dottrina sociale della Chiesa e con esse nel proposito di metodi e stili politico-istituzionali il più possibile somiglianti all’esperienza pregressa.          Impegni che vanno sperimentati nella realtà ma che di certo esigono rigore e serietà nelle scelte.          Certo il momento storico non è dei più favorevoli, ma ogni democristiano non si è mai cibato di fantasie.                                                  E già un bel po di anni ove persiste una diffusa metamorfosi dei partiti, irriconoscibili rispetto alle formazioni tradizionali, come erano ai tempi della DC: oggi, quasi tutti leaderisti (ove nessun peso sembra avere una convinta democrazia interna) populisti, demagogici e talvolta, con l’aggravante di aver usato la circostanza di essere stati maggioranza di governo, per mettere in campo obiettivi di astiosa antipolitica.                                   Questa comune mutazione trova, soprattutto nell’attuale bipolarismo del sistema il suo maggior artefice.      Giungendo persino, nell’intento di dare una  maggior protezione del sistema, sempre più chiuso, ad inventarsi meccanismi elettorali che da una parte consentono al leader del partito di scegliersi i rappresentanti più vicini ai suoi obiettivi( i cosiddetti nominati), dall’altra non favorevoli al facile ingresso delle forze politiche di nuova formazione nelle competizioni elettorali, costringendo i nuovi partiti ad alleanze, talvolta ibride, per essere presenti nelle competizioni elettorali( famosa la definizione: porcata, data da uno degli ispiratori di queste disinvolte leggi elettorali).                                      Il problema si porrà anche nel corso delle prossime elezioni europee, pur non essendoci alcuna parvenza di bipolarismo nella legge elettorale per il rinnovo dei rappresentanti al parlamento dell’Ue.                              In questo caso c’è da superare l’ostacolo della raccolta delle firme se non si vuole ricorrere alle alleanze di lista o ad altri espedienti.      Questo stato di cose, aggiunge alla valutazione del partito da parte di ciascun elettore il rischio di un qualche opportunismo entro obiettivi ridotti e strumentali ad una visione poco lungimirante e più tesa a rappresentanze di bandiera, dissolvendo l’idea di una reale continuità.                                           C’è poi una parte dell’opinione pubblica che, attraverso i media, accredita la percezione che questa riproposizione politica della DC vada letta come fenomeno autonomo, che ha trovato il brodo di coltura in un contesto molto favorevole ove fu fondato il partito.                        Insomma un  territorio che non ha mai smesso di continuare a vagheggiare e pensare democristiano.                                Forse quell’etichettare come “Nuova DC”, il partito che Cuffaro ha presentato in lungo ed in largo appena due anni fa con le sue dichiarazioni di voler ricostruire la DC, non gli ha portato bene.           Così egli rischia di essere accomunato come una delle tante versioni cesariste dell’attuale sistema politico, mentre una maggiore collegialità potrebbe portargli vantaggio in termine di maggiore somiglianza con la vecchia DC.                                     Probabilmente letture un po superficiali, che forse non colgono l’infaticabile lavoro dietro ogni dichiarazione che ne affermi l’ideale continuazione, pur su nuove basi valoriali, in linea con il progredire della società e con i nuovi bisogni, e con gli obiettivi, a breve e lungo periodo, che il contesto storico interno e geopolitico pone tassativamente per la salvaguardia del futuro del pianeta e delle nuove generazioni.                                         Di certo però non aiutano a comprendere fino a che punto può legittimarsi una lettura nel segno della continuità, la pervicace vocazione, emersa  in tutte le tornate elettorali che finora abbiamo potuto contare, a schierarsi a destra(qualche dichiarazione di questi giorni sembra farci cogliere questa tendenza tesa ad uno spostamento dell’alleanza del Ppe con i Conservatori, nel segno di una prossima Commissione sovranista e populista, anche per le prossime elezioni Europee, speriamo di sbagliarci) disdegnando le formazioni più centriste, anche se, pur vero, attualmente poco affidabili (eloquenti soprattutto le competizioni elettorali in terra di Sicilia)nell’ambito di un bipolarismo che, come è noto era per la DC antitetico e distorsivo nella scelta delle rappresentanze politiche, tanto che nella sua esperienza politica cinquantennale aveva campeggiato ininterrottamente il sistema proporzionale, assicurando autentica rappresentanza a tutti i territori della penisola.                       Un intreccio di comunanze progettuali (spesso dense di obiettivi poco compatibili con la visione di paese di questa DC) con i partiti del centrodestra, mentre gli organi del partito si prodigavano per affermare nei manifesti programmatici di voler restare identitariamente distinti e distanti dalla destra e dalla sinistra.     Scelte che hanno finito per far deragliare dagli iniziali binari con cui si stava cercando di ricostruire il partito.                                                 Ma trovo al contempo singolare che nessuno si chieda come mai ne’ la dirigenza di questa DC, ne’ il fronte sparso dei popolari non stiano provando a mettere insieme le preziose energie per riaggregare buona parte dei pezzi della galassia dopo l’arbitrario ed illegittimo scioglimento della DC nel 1994, anche in vista delle prossime importanti elezioni europee.          Non c’è invece alcun dubbio, ai sensi dello Statuto, che l’attuale partito, che ebbe R.Grassi come segretario, va ritenuto il legittimo continuatore della vecchia DC, non essendoci nessuna sentenza che abbia detto ad oggi il contrario.                              Certo poco meno potrà affermarsi la continuità di azione politica, stante l’abissale differenza dei contesti storici in cui comparativamente si è operato e oggi si è chiamati ad operare.                                           Spero si finisca con il gioco delle somiglianze, come lo stesso Follini decisamente auspica, augurandomi che in una visione comune si possa contribuire a recuperare, in chiave attuale, tutto il patrimonio di valori, di stile e di metodi che rese per cinquant’anni la DC il partito più votato.

18.09.2023

Luigi Rapisarda

Un patto federativo di centro per l’Europa

Luigi RapisardaIn queste prime settimane di settembre stiamo assistendo ad un crescente dinamismo da
parte delle diverse forze politiche in vista del prossimo appuntamento elettorale tra maggio e
giugno 2024 nel quale i diversi paesi dell’Ue saranno chiamati a rinnovare i rappresentanti
del parlamento europeo.
Tra le tante dichiarazioni incrociate e proposte non poteva non fare eco la recente sortita di
Matteo Renzi con cui ha messo in campo una sua proposta di massima nell'intenzione di
trovare dei partner per la proposizione di una lista comune di area centrista.
Una proposta che mira a rafforzare l’alleanza tra popolari, socialisti e liberal-democratici
europei, facendo argine a destra verso tutte le formazioni populiste e sovraniste(e
ovviamente in contrasto con l’insidiosa linea espressa dal presidente del Ppe Manfred
Weber per uno spostamento dell’asse politico con l’idea di un esecutivo Ue costruito su una
nuova alleanza Ppe Conservatori) e a sinistra verso le forze radicali e massimaliste.
Proposta che di certo non appare caduta nel vuoto almeno stando ai primi commenti.
Nel suo articolo:”Il centro, Renzi, l’Europa e i popolari” su Il Domani d’Italia del 6 settembre
scorso, G. Davicino così scrive:
“..Ma perché il progetto della lista Il Centro possa assumere le caratteristiche di un
progetto di ampio respiro, politico e culturale, e non esser solo un brand da adottare
per l’occasione, occorre che il processo di costruzione del nuovo soggetto politico
sia il più possibile plurale e partecipato, con una democrazia interna affermata e
praticata, giusto per non ripetere gli errori che si sono visti fare nella costruzione
del Partito Democratico.”.
C’è in questa pregevole osservazione tutta la consapevolezza della cruciale importanza di
queste elezioni e del compito arduo di cui dovrà farsi carico il nuovo esecutivo dell’Unione
Europea in vista delle crescenti sfide che ci pone il quadro internazionale e lo spazio politico
sempre più emergente che sta assumendo l’India nel reticolo multilaterale che vede come
area strategica la regione indocinese.
Tanto che non appare un compito agevole attualizzare le tante ambizioni di un’Europa più
autonoma e solidale, come delineato dal nostro Capo dello Stato, dove al ruolo subalterno
nell’Alleanza Atlantica deve sostituire un protagonismo per la sicurezza, un equilibrato
sviluppo dell’area comunitaria e una maggiore attenzione al quadrante sud del
mediterraneo.
Non si vede altra via migliore per provare ad agire in un quadro di obiettivi che renda
compatibili e sostenibili, in una visione di autentica sussidiarietà regionale – leva insostituibile
per realizzare i necessari cambiamenti, come di recente proposta da Mario Draghi dalle
colonne dell’Economist – autorevolezza, sviluppo, solidarietà, giustizia sociale ed eco-tutela
del pianeta.
Ancora una volta Mario Draghi esorta le Istituzioni europee e i singoli Stati a mettere in
campo un nuovo metodo di lavoro nel segno del fare insieme per rendere compatibile ogni
obiettivo in modo che non trovi ostacolo da differenti normative di settore, a cominciare da
quelle fiscali che finiscono per creare divari, disparità e differenti appetibilità negli
investimenti, condizionando il futuro della moneta comune.
Considerazioni che hanno tutto il sapore di un chiaro monito a non continuare a vivacchiare
sui vecchi schemi che pur hanno assicurato prosperità all’Ue, ma anche tanti nodi irrisolti.
Tanti appare ineludibile affrontare al piu presto un reale processo di adeguamento ai
cambiamenti epocali che stanno interessando tante aree geopolitiche anche in direzione di

nuovi assetti delle governance economiche che stanno proiettando nuovi paesi come
interlocutori insostituibili nel nuovo assetto multilaterale che sta assumendo la geografia
politica dei diversi continenti.
Sarebbe davvero improvvido, da parte del partito, anziché vagheggiare accordi di cartello
con Tajani che continua a fare bellamente il caudatario di una destra sempre più versata su
“Legge e Ordine” ancor peggio verso i minori, quando di leggi ce ne sono già più del dovuto.
Tanto che c’è da chiedersi quale sia la funzione di FI senza Berlusconi oltre quella di fare da
ruota di scorta ad una cultura di destra reazionaria e di megafono del governo attraverso le
reti Mediaset.
Di certo l’Europa che ci si propone di migliorare negli assetti e negli obiettivi, deve
affrancarsi dal prevalentemente indirizzo neo-liberista (falso moderato), facendosi invece
artefice di un equilibrato progetto di sviluppo solidale ed ecosostenibile capace di colmare i
forti divari tra territori ed essere continente guida nel processo di transizione ecologica e
tecnologica, trovando nuova sintesi tra automazione e occupazione, imprescindibile per
assicurare benessere per le proprie comunità e salvare il nostro pianeta.
Quanto al frequente ricorso all’ inasprimento delle pene, basterebbe sfogliare un qualsiasi
manuale di sociologia per rendersi conto che non è di certo questa la via per assicurare
maggiore deterrenza verso il crimine, ma fronteggiare, ad ampio raggio le degenerazioni
malavitose minorili, partendo da una attenta e capillare sorveglianza del rispetto dell’obbligo
scolastico, una più incidente vigilanza dei territori e una adeguata presenza dei servizi
essenziali nelle zone di maggior degrado per sottrarre tanti adolescenti alle organizzazioni
criminali.
Insomma una maggiore presenza dello Stato in certi territori assicurerebbe di certo una
sensibile riduzione del fenomeno.
Per contro sembra del tutto dimenticata, a dispetto di tutte le gratuite promesse fatte durante
la campagna elettorale dello scorso anno, ogni misura che valorizzi nel modo che oggi si
richiede, la scuola, anche come luogo di aggregazioni sociali nel pomeridiano e le famiglie.
Non meno di qualche mese fa in occasione del suo XX Congresso, il neo segretario Cuffaro
ebbe a ribadire, richiamando l’insegnamento sturziano e il suo manifesto, aggiornato alle
realtà e ai bisogni attuali delle comunità, la netta distanza dalla destra e dalla sinistra.
Tutto questo rende oltremodo naturale intravedere in questa iniziativa tesa ad aggregare
attorno ad una lista federata(ovviamente, qualora si dovesse dare corso a tale decisione,
saranno poi i tavoli tra i partiti federati a congegnare il modo più conforme come presentare
graficamente la lista) forze di area centrista e popolare, anche nell’intento di una
ricomposizione dopo una diaspora trentennale, alternativa alla destra populista e sovranista
di FdI e Lega e dei loro scudieri, FI in primis, e alla sinistra radicale, demagogica e
massimalista della Schlein, lanciata da M.Renzi, pur con tutte le sue personali contraddizioni
e ovviamente senza subalternità verso nessuno dei partner.
Oltre al fatto che consentirebbe di superare quell’angusto regionalismo in cui il segretario
politico sembra riesca solamente a muoversi con grande disinvoltura.
Faccio appello pertanto al segretario Cuffaro, e
all'enigmatico presidente del C.N., augurandomi che questa istanza non si impigli nel porto
delle nebbie, visto che questa segreteria sembra più abituata a decidere che a confrontarsi,
affinché questa insostituibile opportunità possa essere valutata dal partito, attraverso i suoi
organi di indirizzo, unitamente ad eventuali altre ipotesi, affinché sulla scia di un comune
patrimonio culturale e di un coerente e sostenibile progetto, si possa elaborare una
proposta per una Europa più vicina alle comunità, e meno suggestionata dalle élite
finanziarie e dai potentati economici, e riformando i propri regolamenti per essere meno

condizionata dalle derive sovraniste di alcuni paesi membri, capaci di sabotare con il proprio
veto decisioni rilevanti.
Insomma senza una maggiore autonomia e autorevolezza (e quale occasione migliore per il
partito per mettere a frutto il proprio patrimonio di ideali e di valori sperimentato per ben
cinquant’anni di vita politica e promotore e fondatore con De Gasperi, assieme a Adenauer,
Schuman e Monnet) l’Ue non potrebbe svolgere alcun ruolo incisivo nei tavoli internazionali
e nelle mediazioni per la pace tra i popoli.
9.09.2023
Luigi Rapisarda

Stile politico e identità di partito:una connessione indissolubile

Luigi RapisardaOggi sembra esserci una generale omologazione nello stile e nei comportamenti istituzionali
dei politici.
Certo c’è sempre qualche eccezione.
Ma a farla da padrone è oramai la politica strillata e i tanti funambolismi istituzionali che
caratterizzano l’azione politica di molti rappresentanti del popolo.
In questo scenario vien da chiedersi se ci sia mai stato un epoca in cui lo stile esprimeva
coerentemente l’identità di un partito per compostezza, misura e rispetto dell’avversario.
La risposta ce la dà la storia politica dei primi cinquant’anni dal secondo dopoguerra ove la
DC si impose anche per uno stile severo, istituzionale, mai sopra le righe, anche al cospetto
delle polemiche più aspre.
Giorgio Merlo nel suo articolo di qualche giorno fa su Il Domani d’Italia: “Riflessioni sulla
classe dirigente..”, scrive:
“Ogniqualvolta si parla della Democrazia Cristiana e, soprattutto, dei leader e
degli statisti democristiani, non manca quasi mai un riferimento al cosiddetto
“stile” che caratterizzava quelle donne e quegli uomini.”. “.. un modo di essere
che rifuggiva da schiamazzi e dalla facile polemica..”
Di certo non appare tanto assimilabile al virtuoso “stile” democristiano la bizzarra ed
ambigua performance del segretario politico Totò Cuffaro, in una Palermo( così pare) quasi
incredula davanti al tipo di protesta inscenata contro l’aggressione della Russia di Putin ai
danni dei territori dell’Ucraina.
Uno passerella che non è sembrata casuale, anzi, in perfetto stile movimentista e piazzaiolo,
dove il segretario nazionale con indosso una maglietta rossa, con le famigerate effigi, della
falce e martello e le lettere CCCP, al canto di bella ciao esibiva platealmente il pugno
chiuso.
Un composto coup de theatre più per iniziati che per gente comune, tanti erano i messaggi
contraddittori, con tutti quei simboli di un'epoca storica, ormai superata – anche se Bella ciao
è ancora oggi il simbolo di resistenza di un popolo che vuole libertà e democrazia – che
hanno caratterizzato questa protesta contro l’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina.
Ovviamente la cosa ha avuto grande eco sui media, anche nazionali.
Quello che ha lasciato perplessi molti attenti lettori, che poi non hanno mancato di
commentare sui social, è stato il fatto di scegliere un travestimento da militante comunista
con tanto di pugno chiuso, quando la protesta poteva essere meno plateale, ma più efficace,
senza ricorrere ai simboli più eclettici del Comunismo, che grondano di efferata disumanità,
e a messaggi criptici, ma molto ambigui, che con esse Cuffaro ha voluto lanciare, ma ai più
comprensibili e chiari simboli dell’identità democristiana, che seppe fare argine alla
mostruosa ideologia comunista e a ogni forma di dittatura( non dimentichiamo tanti valorosi
aderenti partecipare e morire durante la lotta partigiana contro i nazifascisti)in difesa della
libertà e della democrazia e propiziando altresì con De Gasperi, nel comune intendimento
con Adenauer e Schuman, i primi organismi comunitari nel vecchio continente.
Vien da chiedersi perché Totò Cuffaro, segretario di un partito il cui patrimonio di valori non
ha mai dato spazio nel sistema politico al dilagare di una mediaticita’ senza freni portata dal
vento populista che da qualche lustro soffia sul nostro sistema politico, abbia preferito
dismettere lo stile sobrio e misurato che ha sempre caratterizzato ogni azione e iniziativa
politica della DC.
Di certo non appare irrilevante il sospetto che a forza di trovarsi fianco a fianco con forze
politiche che hanno fatto del populismo la cifra della loro azione politica, e il non meno

rilevante ingresso, nel partito di nuove culture politiche antitetiche ai valori storici di cui la DC
è stata portatrice, non abbia finito per conformarsi a modelli e ruoli che da sempre sono
lontano un miglio dallo stile democristiano.
C’è poi da chiedersi se per caso quel vezzo di rinominare mediaticamente l’identità del
partito in “Nuova DC” non abbia finito per rendere fragili le radici indispensabili per
mantenere viva la continuità storica, obiettivo prioritario che dai promotori del 2016 al XIX
Congresso, con cui si avviò la riorganizzazione del partito, ne ha sempre orientato l’azione
politica in continuità con il patrimonio di valori per cui è nata e ha agito la DC.
Se a questo aggiungiamo la spoliazione del simbolo storico, che ancora una volta, per
effetto di scelte procedimentali che purtroppo non assicurano una dialettica probatoria
completa, si riconosce nel legittimo uso all’Udc, e l’adozione di un nuovo simbolo, la
percezione di una nuova identità del partito, appare più che convincente.
Per contro non vediamo un grande lavoro di sensibilizzazione nei territori della nostra
penisola, dove non vi sono le stesse peculiarità della Sicilia, tanto che si ha sempre più
l’impressione che si stia tirando dritto verso un assetto di tipo elettoralistico, che pur se
nell’immediato può assicurare risposte anche apprezzabili, rischiano di rendersi nel lungo
periodo effimere, non essendo in grado di radicare valori e principi che solo un lavoro
paziente e diffuso può essere in grado di assicurare nel tempo.
Il quadro appare ancor meno rassicurante per il fatto di non intravedere alcun dinamismo
dialettico interno sulle tematiche che affliggono le nostre comunità sociali ed economiche,
essendo rarissime le occasioni di confronto interno negli organi a ciò deputati, nonostante
ripetute richieste di convocazione al presidente del C.N. per rendere chiara la linea del
partito attorno alle varie questioni, prima fra tutte quali confini a destra, considerata
l’avventurista linea espressa di recente dal presidente del Ppe M. Weber, teso a spostare
l’asse politico del governo dell’Europa verso una coalizione a destra senza condizioni, quindi
aperta anche agli estremisti del fronte Lepenista e di Afd.
In questo quadrante in cui le sortite mediatiche del partito appaiono frammentate e senza
visione non possiamo non cogliere con sempre più evidenza il tentativo che si stia cercando
di costruire un partito attorno a delle candidature, quando invece per un partito che pretende
di agire in continuità storica, dovrebbe essere l’esatto contrario.
6.09.2023
Luigi Rapisarda

L’attuale paradosso della DC: da partito mai sciolto a partito che “non c’è”

Luigi RapisardaFa specie leggere su il Popolo del 28 luglio scorso dal titolo: “80mo del Codice di Camaldoli
tra memoria e…qualche delusione”:”..A celebrare gli 80 anni del Codice di Camaldoli non è
stato invitato nessun democratico cristiano..”.
E di seguito si aggiunge:”..Il secondo rammarico è dato dal fatto che è mancato un preciso
destinatario della Riconsegna del Codice di Camaldoli. Né la prolusione del presidente della
Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Matteo M. Zuppi, né il Cardinale Segretario di
Stato di Sua Santità Pietro Parolin, né i Relatori che si sono susseguiti hanno individuato un
soggetto cui riaffidare il Codice camaldolese..”.
Contestualmente leggiamo su il Domani d'Italia del mese scorso un pregevole articolo di M.
Follini che si interroga se non sia il caso che destra e centro marchino bene le loro diversità.
Così da quelle pagine:
”..Ma il vero problema resta quello identitario e dovrà pur essere sviscerato, un giorno o
l’altro. Il problema cioè è quello dei confini che si pongono alla destra di una formazione di
centro. Questione che all’epoca la Dc italiana risolse sbarrando il passo a ogni forma di
collaborazione (salvo qualche eccezione sottobanco). E che oggi tende piuttosto ad essere
interpretato nella chiave opposta. Se non altro per comodità numerica.”.
Un giudizio severo che ci impone di guardare al nostro interno e chiedersi, in primis, a cosa
è servito e quali effetti ha prodotto il recente XX Congresso DC.
L’impressione più credibile sembra descriverci quell’assise congressuale più per tirare la
volata ad operazioni di trasformismo, ancora oggi per taluni iscritti, poco convincenti,
ponendo a portabandiera personalità le cui connotazioni identitarie, stando ai loro recenti
profili, non appaiono agevolmente riconducibili ai precipui valori di riferimento del partito.
In questo scenario ci sembra quanto di più avventata e totalmente decontestualizzata dalla
realtà attuale l’esultanza di una dirigente di nuovo conio(la cui ambiguità politico identitaria
non sembra sia stata risolta tra Strasburgo la cui collocazione politica resta senza
riferimento ad alcuna forza politica e quindi non legata ad alcuna linea e l’Italia dove,
aderendo alla DC è soggetta al rispetto delle regole statutarie) in confronto alle dichiarazioni
di Tajani che” la DC c’è”.
In primo luogo perché fa specie riscontrare come riconoscimento politico affermazioni
quanto di più artificiose e strumentali da parte del segretario di FI che ha visto, con il suo
mentore, Silvio Berlusconi, da sempre, la DC come area politica da occupare, facendo
addirittura mostra del simbolo in una sorta di holding politico-parlamentare di cui fu artefice
G. Rotondi.
L’episodio di poi non può non leggersi nel quadro della cruciale e ancora irrisolta questione
del riconoscimento politico generale, erga omnes, della continuità storica di questa DC di cui
oggi è segretario Totò Cuffaro con la DC di don Sturzo e di De Gasperi: riconoscimento che
la farebbe uscire dal limbo identitario mettendola al riparo da pretese di ogni genere.
Un passaggio importante che abiliterebbe il partito nel quadrante europeo come naturale e
autentica forza di centro oltre a poter giocare un ruolo in simbiosi con i partiti della stessa
matrice culturale.
Ma un processo che al momento trova qualche ostacolo in più per la circostanza che gli
elementi identitari del partito risultano deformati, nel nome e nel simbolo.
Condizioni che al momento indeboliscono la forza negoziale del partito nella procedura di
accoglimento nella famiglia del PPE, tenuto conto, anche, del fatto che finora manca uno
specifico provvedimento giudiziale che, oltre a riconoscerle continuità, le restituisca
l’uso del simbolo, rimuovendo il paradosso di una DC che sebbene mai sciolta,

deprivata dall’uso dello scudo crociato e quindi della sua integrità originaria, è come
se non esistesse nell’attuale sistema politico, come emblematicamente è avvenuto in
occasione delle celebrazioni dell’80mo anno del Codice di Camaldoli, ove nessun
riferimento o consegna, seppur virtuale, è stata fatta alla attuale DC, di cui è
segretario Totò Cuffaro.
È appena il caso di precisare, poi, che Tajani la DC l’ha sempre immaginata più come area
per velleitarie scorribande elettorali, che come forza per alleanze di progetto.
Ovviamente fantasie senza fondamento se rapportate alla realtà con cui il segretario di FI è
chiamato a confrontarsi.
Di certo non è un vantaggio che un partito quale è FI, totalmente padronale e integralmente
legato all'identità personale di Berlusconi, che non ha mai conosciuto una organizzazione
basata sul confronto dialettico delle linee politiche e sulle maggioranze e minoranze, ma
dove a decidere dai vertici alle questioni locali è stato sempre e solo il Cavaliere, possa
ritrovare in così poco tempo un assetto pienamente democratico, con un progetto liberale e
riformista, in modo di poter arginare una prevedibile fuoriuscita di voti.
Quindi l’attivismo di Tajani sembra più ascrivibile a una malcelata Opa che ha inteso lanciare
nei confronti dell’area democristiana nel tentativo di ampliare la sua base elettorale piuttosto
che il segno di una mera generosità politica.
Del resto il quadro in FI è talmente fluido che al momento nessuno osa scommettere quale
performance sia in grado di ottenere alle prossime elezioni europee.
5.09.2023
Luigi Rapisarda