Cassazione Civ., ordinanza n. 21457/2023: nel caso una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi, la seconda impugnazione deve essere notificata entro la scadenza del termine breve, decorrente dalla notificazione della prima impugnazione. 

La Cassazione, con l’ordinanza n. 21457 del 19 luglio 2023, ha chiarito che, nel caso una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi, la seconda impugnazione deve essere notificata entro la scadenza del termine breve, decorrente dalla notificazione della prima impugnazione.
……………………………..
Può  avvenire, per dimenticanza o altro motivo, che un ricorso, pur regolarmente notificato,  non venga depositato nei termini di cui all’art. 369 del c.p.c.
Non resta altro da fare che notificare un secondo ricorso e questa volta depositarlo nei termini di legge.
Orbene questa notifica, però,  dovrà risultare tempestiva  in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione.
In difetto anche il secondo ricorso sarà dichiarato inammissibile.
In pratica il primo per mancanza di deposito il secondo perché fuori termine.
Questo perché, ha spiegato la  Suprema Corte, con la notifica della prima impugnazione si è dimostrata la conoscenza legale della decisione da parte del ricorrente, mentre il termine lungo è previsto quando la conoscenza legale manchi.
Avv. Salvatore Torchia
Scarica l’Ordinanza in formato pdf: Cass. Ordinanza  N. 21457/2023

Cass., Ordinanza n. 20888/2023: è nulla la deliberazione dell’assemblea condominiale, approvata a maggioranza, con cui si stabilisce un incremento forfettizzato della quota di contribuzione, alle spese di gestione di un ascensore, per una unità immobiliare adibita ad ufficio.

La Cassazione, con ordinanza n. 20888 del 18 luglio 2023, ha chiarito che è nulla la deliberazione dell’assemblea condominiale, approvata a maggioranza, con cui si stabilisce un incremento forfettizzato della quota di contribuzione, alle spese di gestione di un ascensore, per una unità immobiliare adibita ad ufficio.
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Con il citato provvedimento la Suprema Corte ha stabilito un interessante principio.
Nel senso che la ripartizione delle spese di gestione dell’impianto di ascensore deve avvenire sulla base del criterio legale previsto dall’art. 1124 del c.c.
Pertanto non può farsi applicazione del principio di proporzionalità dell’uso di cui all’art. 1123 secondo comma del codice civile.
Insomma non possono essere maggiorate le spese imputate nella tabella millesimale per il maggiore utilizzo dell’impianto a causa del notevole afflusso di persone.
La modifica del criterio legale di ripartizione delle spese può avvenire, legittimamente, soltanto con il consenso dell’intera compagine condominiale,  quindi dell’unanimità dei condomini, e non con una delibera approvata a maggioranza, come nel caso di cui si è occupata la Cassazione.
È però da attenzionare che, mentre è nulla la delibera che stabilisce l’incremento,  le successive delibere, che ripartiscono le spese dando esecuzione a tale criterio illegittimamente dettato dall’assemblea  condominiale, sono annullabili e non nulle per propagazione.
Infatti non sono volte a stabilire o modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi.
In altre parole denotano soltanto la violazione di dette regole.
Di conseguenza l’invalidità delle spese di ripartizione può essere sindacata dal giudice nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo solo se dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento nel termine previsto
dall’art.1137 c.c.
Avv. Salvatore Torchia
Scarica l’Ordinanza della Cassazione in pdf:

Il groviglio inestricabile del simbolo della DC

Luigi RapisardaC’è un’annosa questione che da tempo impensierisce il partito.

La riappropriazione del proprio simbolo, o per meglio dire il suo uso spendibile nelle consultazioni elettorali.

Stiamo parlando dello storico scudo crociato che da più di cinquant’anni ha caratterizzato e identificato il partito della Democrazia Cristiana.

Ora non c’è occasione elettorale nella quale, come è noto, ogni partito deve indicare il proprio simbolo con cui si è identificato davanti i propri elettori e nel sistema politico, che la DC non trovi il concomitante uso del proprio simbolo ad opera dell’Udc, nella pretesa di essere essa titolata al legittimo uso per effetto di una spendibilità di questi ultimi anni.

Così è che applicandosi in sede elettorale il diritto al pre-uso la DC si vede costretta a dover cambiare simbolo o altrimenti rinunciare alla competizione elettorale.

Il groviglio appare ancora più inestricabile, visto che il problema si pone in tutti gli appuntamenti elettorali, per la peculiarità della fonte normativa in materia elettorale, semplicemente finalizzata ad assicurare, con valutazioni in tempi brevissimi, che non vi siano confondibilità tra i simboli – prescindendo da ogni diatriba in merito a proprietà o titolarità storiche dei simboli – avendo come unico elemento valutativo dirimente il fatto che il simbolo non sia stato o meno precedentemente usato da una forza politica, nel qual caso la sua riproposizione ne fa automaticamente conseguire il legittimo uso, escludendo l’altro anche se di quel simbolo ne fosse proprietario.

Questa anomalia si verifica da quando l’Udc inopinatamente assunse come proprio segno identificativo il simbolo dello scudo crociato approfittando del fatto che in quegli anni la DC, a seguito delle note vicende di tangentopoli aveva perso ogni presenza nel sistema politico dopo un frettoloso ed atipico scioglimento proposto dal segretario di allora Mino Martinazzoli, dando vita al Ppi.

Uno scioglimento che tanti avevano intravisto come atipico e non conforme allo Statuto.

Ci volle una sentenza del Tribunale di Roma, n.19381/2006, confermata dalla Corte d’Appello e poi dalla Corte di Cassazione, con sentenza a Sezioni unite, n.25999/2010, in tema di uso e titolarità del nome e del simbolo, a restituire la verità degli eventi, affermando che quello scioglimento pronunciato non era stato conforme a statuto e quindi statuendo che “la DC non si è mai sciolta”.

Ne conseguiva come corollario che il partito potesse riprendere in ogni momento la propria attività politica con l’adozione di ogni elemento identificativo tipico della suo profilo storico con cui era conosciuto e si presentava al corpo elettorale in tutte le occasioni, nazionali, locali e politiche della sua lunga attività, a partire dal 1943, anno della sua fondazione.

Ora è di queste settimane un provvedimento giudiziale del Tribunale civile di Roma, sezione 16’, giudice Goggi, che per i più frettolosi sembra dare legittimazione all’uso del simbolo scudo crociato da parte dell’Udc.

Esso in realtà è la risultante di un procedimento cautelare che tendeva ad assicurare tutela anticipata ad un’azione di ordinaria cognizione con cui si rivendica legittimamente la piena titolarità del simbolo per essere questa DC la diretta continuazione del partito che fu fondato da don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi.

Il fatto è che questa azione ex art. 700 cpc, seppur giustificabile, proprio per la scelta di avvalersi del procedimento sommario, che riconosce mezzi assai ridotti in materia di prova, in confronto al giudizio ordinario, mi è sembrata quantomeno inopportuna e controproducente il cui esito infausto potrà prestarsi, come succede nel confronto politico, a letture strumentali o arbitrarie.

Scenari che vanno fugati sottolineando il fatto che qui il diniego della tutela invocata trova il suo assunto nella circostanza che, a giudizio del giudice, non si sia adeguatamente e sufficientemente provato il fatto che questa DC sia l’unica a poter rivendicare continuità storica e politica, in conformità allo Statuto, con la storica Democrazia Cristiana.

Così per contro si è finito con l’effetto boomerang, ossia che la sommarietà dell’ istruttoria, quale è il modello processuale della tutela cautelare, ha finito per non rendere facilmente esperibile il quadro probatorio della piena conformità della riorganizzazione della DC e della sua legittima rivendicazione di agire nella continuità storica con essa.

Purtroppo il provvedimento citato non è privo di conseguenze perché da una parte, rende inevitabile la necessità di ricorrere ad altro simbolo, non si sa per quanti anni – come peraltro al momento si è dovuto fare, con il rischio di una non facile riconducibilità da parte degli elettori al partito della Democrazia Cristiana cui si intende dare continuità in conformità alle regole dello Statuto – dall’altra perpetua come legittima un’appropriazione del logo che per più di cinquant’anni ha identificato la DC.

Il fatto è che un compito processuale così articolato ed impegnativo, non poteva conciliarsi con il tipo di procedimento governato dalla sommarietà, che non ha potuto consentire, anche in mancanza di un contraddittorio allargato alle tante sedicenti associazioni DC, un’adeguata istruttoria e l’acquisizione di ogni prova capace di comparare alla correttezza e conformità allo Statuto di questa DC, le ampie inadeguatezze e violazioni statutarie delle tante associazioni che rivendicano altrettanto di rappresentare la DC.

L’amara conclusione è che a questo punto bisogna concentrarsi sul giudizio ordinario, l’unico che assicura un pieno e approfondito contraddittorio tra le parti, intendendo per essi non solo l’Udc, ma anche tutte le entità sedicenti di rappresentare la vera Democrazia Cristiana.

Giudizio che ovviamente si snoderà secondo i normali tempi della giustizia odierna, quindi con una pronuncia non certo in tempi ravvicinati, ma con ogni più ampia tutela, e qui si verte in tema di diritti personalissimi( il partito in quanto associazione non riconosciuta fa capo alla normativa dettata a tutela delle persone giuridiche)rispetto all’ottica della mera tutela dei segni distintivi, applicata in sede elettorale.

Ovviamente comporterà un litisconsorzio necessario, vale a dire citando tutte le sedicenti associazioni o partiti che pretendono di rappresentare la storica Democrazia Cristiana, con tutte le conseguenze in termini di tempi di risposta della giustizia.

Mi auguro che questo tema, così cruciale per l’identità e il futuro del partito, possa trovare ampio spazio in un Consiglio Nazionale che chiedo al Presidente R. Grassi di convocare, prima possibile.

28.08.2023

Luigi Rapisarda

La sofferta odissea dei popolari tra orgoglio e indifferenza

Luigi RapisardaC’è in questi giorni un gran da fare, soprattutto, sui giornali di area.
Si colgono quotidianamente commenti e considerazioni assai positive attorno alla
coraggiosa iniziativa di Fioroni diventato l’alfiere di un autonomo cammino dei popolari, a
partire dalle prossime scadenze elettorali, tra cui ci pare di cogliere un particolare focus sul
rinnovo del parlamento europeo nel 2024.
Non mancano a tal proposito incoraggiamenti e tanti consigli, ma nessuno fa alcun accenno
al fatto che quel cammino diviene incompleto se non si affronta in radice il problema della
ricomposizione dell’area democristiana.
In un mio articolo del 3 marzo scorso così scrivevo:
“La scommessa sembra di quelle destinate a lasciare il segno dopo trent’anni di dispersione
nei tanti lidi del sistema bipolare che ancora oggi costringe nelle diverse realtà istituzionali a
scegliere tra poli contrapposti. Non potendosi negare minimamente che con la segreteria di
Elly Schlein sono destinati a nuove strutturazioni tutti i vecchi rapporti politici in quel
versante. Ma è soprattutto nell’alveo della componente cattolico democratica e popolare che
il dirompente smarcarsi da un più che decennale tentativo di ibrida fusione progettuale,
sovente sbilanciato, ora su un versante ora su un altro, impone un nuovo modello di visione
politica e progettuale sulle orme di un patrimonio identitario nella consapevolezza di riempire
finalmente un vuoto politico e di metodi che da tempo molti elettori attendono, financo a
disertare massicciamente le urne.”.
Certo, il tutto avviene ancora tra diffidenze e preconcetti.
E le avvisaglie non sono state poche.
Già in un articolo del 9 aprile del 2021, G. Merlo così scriveva:
“Ma è del tutto evidente che, seppur di fronte ad un quadro politico confuso, frastagliato e in
continua evoluzione, un “partito di centro” o una “politica di centro” che veda anche l’apporto
decisivo della “nostra” cultura popolare e cattolico sociale, non si intravede ancora
all’orizzonte..E, malgrado ciò, molti amici continuano simpaticamente a riproporre le proprie
sigle o ad avanzarne di nuove come se nulla fosse. Pensando che così facendo, prima o
poi tutti gli altri confluiscano passivamente e silenziosamente nella propria”.
Considerazioni che partendo dalla persistente difficile convivenza tra le fila del Pd, davano il
segno di una presa d’atto di una non più tollerabile frammentazione dell’area cattolica e
popolare e di una perniciosa tendenza a esiziali superfetazioni personalistiche, a dir poco
surreali.
Quello che stupisce è che non si è accompagnato a ciò il riconoscimento di quell’iniziativa,
seria e responsabile che vecchi iscritti alla DC avevano messo in campo per ridare vita e
azione ad un partito storico “mai sciolto”.
E questo osservare con supponenza i tanti eventi, che stanno attorno a questo obiettivo, non
aiuta una causa comune, mentre andrebbe guardata con fiducia l’iniziativa con cui si è
assicurata credibile prosecuzione all’esperienza democristiana, nel solco di una sentenza
che ha statuito il mai avvenuto scioglimento a norma di Statuto.
Mentre il fatto che non siamo più all’anno zero, avendo il partito ritrovato condivisione e
consensi nei territori, soprattutto della Sicilia, dove ha avuto il suo primo esordio elettorale
con consistente ingresso nelle istituzioni(Regione siciliana, ove siedono 5 deputati, e tanti
consiglieri comunali, a Palermo, Catania e in diversi Municipi dell’Isola) non meriterebbe
tanta indifferenza.
C’è da chiedersi allora quanto sia a tutto campo questa iniziativa di Fioroni nel più ampio e
comune obiettivo( che ad onor del vero ci sembra una mission quasi naturale) se si vuole

ripristinare tutto il caleidoscopio culturale, espressione dei diversi filoni di pensiero di cui un
partito che si colloca al centro deve possedere nel suo dna, senza mai svendere la propria
identità.
Peraltro quel richiamo al pluralismo interno mi pare non manchi ad ogni piè sospinto.
Anzi non c’è commentatore adesivo alla coraggiosa iniziativa di cui si è reso protagonista
Fioroni che non richiami il pluralismo a volano per una proposta politica di centro sotto
l’egida di quel patrimonio di principi e ideali che diedero spinta e forza alla Democrazia
Cristiana, sia nella visione di governo del paese, sia come coprotagonista di scelte cruciali
nell’ambito di obiettivi comuni che unissero in politiche di pace, convivenza e sviluppo i
diversi paesi del continente europeo, CEE, Ceca, Euratom, Ue.
Ecco perché se Fioroni si fermasse a metà del guado esporrebbe questa valorosa iniziativa
all’inconcludenza.
A tal proposito significativo mi pare quanto scrive Giuseppe Davicino su Il Domani d'Italia di
ieri:
“Dal convegno di Tempi Nuovi di venerdì scorso, che ha sancito la ripresa di iniziativa
politica dei Popolari, sono emerse, tra le altre cose, due indicazioni strategiche che
dovranno modellare il percorso intrapreso: quella dell’impegno per la riforma dell’Europa e
quella del contrasto alla crisi dei ceti medi.
La necessaria attenzione alle alleanze con un centro che si oppone a future intese fra Ppe e
partiti di estrema destra, costituisce un’indicazione importante, da concretizzare a suo
tempo, alla luce di quelli che saranno i risultati delle elezioni del 2024. E tuttavia ancora più
importante appare la consapevolezza che l’Unione Europea necessita di urgenti e strutturali
riforme per renderla adeguata alle sfide del mondo attuale. Questo credo sia essenzialmente
il dato da cui partire per impostare una proposta elettorale unitaria dei Popolari italiani per le
prossime Europee. Si parla ancora di ripristino del patto di stabilità come se nulla fosse
cambiato, quando i grandi eventi dei primi anni venti hanno mutato in modo irreversibile gli
equilibri europei. La guida tedesca ormai appare un lontano ricordo, sostituita dalla guida
Nato a trazione angloamericana.”.
Se da una parte mi pare importante e condivisibile la raccomandazione che Davicino fa
affinché chi propone uno scenario fondato sulla sussidiarietà raccolga l’appello di Draghi ad
affrontare con una politica fiscale comune europea, le nuove istanze e con esse le nuove
problematiche di fronte ai quali oggi uno stato nazionale si dimostra inadeguato: dai temi
dell’ambiente, alle migrazioni, dalla sicurezza europea, alle catene di approvvigionamento,
dell’energia, non di minore efficacia persuasiva appare essere il progetto di paese e di
Europa che il nostro filone culturale, interno alla DC, come può leggersi per intero dalla fonte
qui appresso citata, al momento critico verso eventuali scelte di altra direzione, intende
perseguire a proposito delle dinamiche di future intese intraprese dal Ppe con i partiti di
estrema destra.
Ecco quanto, appena pochi giorni fa, ho scritto in un mio articolo dal titolo: “Le seduzioni
trasformiste dei partiti della XIX legislatura”, sul mensile “ Il Laboratorio “ di giugno.
“..con la collocazione nei posti chiave, di personalità così identitariamente connotate, si
rafforza l’impressione che stia prevalendo una visione personalistica del partito( si allude alla
DC, di cui oggi è segretario politico Totò Cuffaro,n.d.a.), che rischia di trasformarsi in mero
comitato elettorale, puntando sempre meno sulle occasioni di dibattito interno, volto invece
più alla ricerca di qualche scranno nelle istituzioni( a cominciare dal parlamento europeo)
anziché costruire un partito a lungo respiro che riporti equilibrio e coerenza nel sistema
politico interno e non crei ambivalenza di linea nel quadro europeo del popolarismo, dove si
sta giocando una partita difficile, in vista del rinnovo della legislatura del prossimo maggio,

soprattutto per l’idea ardita del presidente del Ppe, Manfred Weber di voler abbandonare
l’attuale alleanza con i socialisti e portare i conservatori di G. Meloni e ovviamente tutto lo
schieramento di M. Le Pen e la Lega di Salvini a sostenere un nuovo esecutivo, spostando il
baricentro politico, nettamente a destra.
Per fortuna il suo temerario tentativo, ieri, nei primi assaggi di voto, in occasione
dell’approvazione della legge di ripristino dei suoli naturali e dell’ecosistema, non è andato in
porto.
La legge è stata approvata dal parlamento europeo con il voto di sostegno di 21 deputati del
Ppe in dissenso dalla indicazione del loro presidente M. Weber.
Speriamo che il presidente Weber sappia cogliere il chiaro segnale che l’obiettivo di una
coalizione tra Popolari e Conservatori, è per natura e storia del Ppe, impraticabile.
Come è indubbio il fatto che l’idea di spostare a destra l’attuale baricentro politico implichi
necessariamente la consapevolezza di accettare il rischio di trovarsi nella prossima
legislatura europea accanto ai rappresentanti dell’Afd( gruppo di estrema destra
tedesco)come possibili sostenitori del nuovo esecutivo( se davvero dovesse passare
quest’operazione) e dei tanti piccoli gruppi di estrema destra che pullulano in questo
momento in diversi stati dell’Unione.
Così come è deprimente immaginare l’effetto consequenziale di un Europa sotto la tenaglia
dei nazionalismi.
Sarebbe come dare consapevolmente la stura ad uno sgretolamento dell’Unione,
vanificando per sempre il sogno di un'Europa unita, come la immaginarono i padri
costituenti: K.Adenauer, A. Spinelli,A. De Gasperi, J. Monet e R. Schuman.
Di certo quel voto di ieri, dei 21 eurodeputati del Ppe,in dissenso dall’indicazione del loro
capogruppo, ha reso evidente che questa strategia politica è non solo temeraria, ma assai
divisiva.”.
Un chiaro esempio di concordanza in vari punti di una visione politica che si snoda nella
comune matrice di cultura e di pensiero e espressione di quell’autentico pluralismo di idee e
posizioni che si è incardinato, nel solco di una storica continuità nella DC, che in questi
frangenti, unitamente ad altri amici, mi vede in posizione critica nei confronti della linea del
segretario Cuffaro.
Eppure non ho mai avuto, nonostante diversi tentativi di dialogo da me lanciati attraverso
questa valorosa testata giornalistica, una sia pur frettolosa risposta o momenti di confronto
sugli obiettivi comuni.
Mentre come si vede, c’è la prova che anche nella DC “nuova” alberghi l’espressione più
autentica di un pluralismo di valori e di visione politica che può essere il naturale quadro per
assicurare credibilità al doveroso processo di ricomposizione di una originaria comune
identità, unico strumento per ridare forza e peso ad un ruolo di mediazione e di lungimiranza
che la polarizzazione del sistema ha totalmente polverizzati.
20.07.2023
Luigi Rapisarda

Partiti e Identità: Le seduzioni trasformiste dei partiti della XIX legislatura.

Luigi RapisardaIl titolo ci introduce in un argomento: il fenomeno del trasformismo dei rappresentanti delle
istituzioni, che non riguarda solo l’attuale sistema politico.
Un genere vecchio di ben 150 anni: iniziò infatti con il governo Depretis.
Ma che ha trovato la sua massima espressione in questo ultimo trentennio parlamentare.
Un arma letale per i governi, spesso alla mercé di pochi deputati e soprattutto (essendo in
quel ramo le massime criticità nella tenuta delle maggioranze)di due o tre senatori, decisivi
per tenere in piedi i governi.
Ora comincia ad andare di moda il trasformismo dei partiti.
Ci ha pensato Giorgia Meloni a inaugurare questa nuova tendenza.
Se pensiamo con quale veemenza ha condotto tutta la sua campagna elettorale e agli strali
che mandava dell’opposizione contro scelte ritenute irrazionali o assai opinabili e a come
invece, appena conquistata la responsabilità di capo del governo, ha operato una fulminea
torsione identitaria, pur non abbandonando talune scelte normative o prese di posizioni, che
strumentalmente sono servite e servono ad accontentare un elettorato più fedele ai valori
della destra ideologica, e una classe dirigente non adusa a linguaggio felpato del potere, più
vicina alla linea del predecessore Draghi in un quadro di ritrovato europeismo e un aplomb
più istituzionale(nel quadro di un progetto, non dichiarato di conquistare buona parte
dell’elettorato di centro) fino a trovarsi contro persino i suoi sodali più stretti, Orban e
Morawiecki in Europa e Salvini negli affari interni.
Il fatto è che questa tendenza ha finito per contagiare anche altre forze politiche.
Così è tutto un fluttuare tra politiche annunciate e pratiche parlamentari.
Non diversamente può leggersi la dissonanza tra l’aperta linea pacifista del Pd della Schlein
e il sostegno alla linea governativa di continuare ad inviare armi all’Ucraina.
La rigorosa linea di Conte, sempre teso a fare chiarezza sulle vicende del paese e la
dissonante opposizione alla commissione d’inchiesta per fare luce sulla gestione
governativa delle scelte connesse ad arginare la pandemia da Covid 19.
La disimmetria tra la linea lealmente europeista di Tajani e il suo sostegno sempre più
convinto alle posizioni non del tutto adesive della premier Meloni verso le scelte della Ue.
Anche il nostro partito ha finito per restarne ammaliato.
C’è, infatti, da qualche mese, ossia da quando si è concluso il XX Congresso della
Democrazia Cristiana,qualcosa che non torna nell’indirizzo impresso dalla nuova segreteria.
L’impressione non è isolata.
Più di qualcuno si sta chiedendo dove volge il partito e quali contenuti politici sta elaborando,
non essendo allo stato emersa alcuna linea sui temi cruciali che devono guidare il partito.
Eppure non era stato da poco lo sforzo di chi, adempiendo al compito affidatogli dal
Consiglio Nazionale di delineare in seno ai lavori dell'assise congressuale i tratti essenziali
su cui innestare i diversi contenuti programmatici, aveva creduto fortemente in quel lavoro
preparatorio, come base essenziale su cui costruire la linea programmatica.
Quel lavoro al momento pare sia rimasto nel cassetto, mentre lo sforzo da parte della
segreteria sembra essersi concentrato solamente sull’organizzazione nel territorio.
Il fatto è che procedendo di questo passo si accede ai vari ambienti e realtà socio-
economiche senza una precisa connotazione programmatica che renda chiara quale
visione del paese si è adottata e si vuole perseguire.
Con il rischio di trovarci cucito addosso il riflesso degli effetti delle scelte politiche che, per
assimilazione, quasi automatica, alla coalizione di centrodestra cui – ora, per un motivo, ora

per un altro, anche se non poco ha giocato l’obiettiva difficoltà di raccolta delle firme – si sta
volgendo da un paio di anni l’interesse, ancor prima che il segretario ne fosse investito
formalmente, in tutti i momenti elettorali che man mano si sono dipanati in concomitanza con
le diverse scadenze piccole e grandi dal 2021 in poi (mentre alle politiche nazionali il partito
ha scontato una trattativa rescissa all’ultimo momento per l’intesa Renzi-Calenda, mettendo
in campo il cosiddetto terzo polo).
Eppure non solo in occasioni di convegni e interviste, ma in seno alla massima assise,
ossia nel Congresso dello scorso maggio, resta vivo nelle nostre menti il forte richiamo del
segretario nazionale, appena eletto, al popolarismo sturziano e la rivendicazione di
mantenersi distante da populismi, sovranismo e demagogie cangianti che invece da più di
un lustro, con l’eccezione del governo Draghi, dominano gli indirizzi politici governativi.
Mentre sembrano ignorarsi i fermenti e le occasioni per la ricerca di una identità che
riconduca tutto il florilegio di ideali e i diversi filoni (che dal 1994 in poi hanno finito per
perseguire orizzonti contrapposti) alla matrice originaria, con una rinnovata lettura della
società odierna, che invece non si farebbe fatica a ritrovare nei tanti eventi di questi mesi in
cui sembra essersi accentuato uno scatto di orgoglio identitaria soprattutto nell’area del
popolarismo, con la fuoriuscita di esponenti di primo piano dal Pd.
È proprio di questi giorni l’iniziativa di Fioroni di lavorare per trovare rinnovata identità a tutta
quella schiera di popolari che la segreteria Schlein, ha reso obiettivamente incompatibili con
le politiche di accentuazione del raggio dei diritti civili spesso in conflitto con la base dei
valori riconducibili alla cultura di provenienza dei tanti amici che avevano scelto il Pd come
alfiere di un riformismo popolare-progressista.
Resta però il fatto che anche l’iniziativa di Fioroni,seppur di ampio respiro, non si iscrive
nella mission che invece dovrebbe stare a cuore alla DC e a tutti i democratici cristiani, di
ritrovare una linea di dialogo e di convergenza programmatica e di collocazione che sia la
giusta premessa per la ricomposizione dell’area sotto l’egida dello storico scudo crociato.
A tal proposito, ha scritto su Il Domani d’Italia del 10 luglio scorso, Giuseppe Davicino:
“Lo stato dei partiti attuali dipende dalla personalizzazione della politica, che è stata
introdotta negli anni novanta con le elezioni dirette di sindaci e presidenti negli enti locali, e
con il maggioritario per le elezioni parlamentari.
Un lucidissimo Guido Bodrato già nel 1993 denunciava il fatto che tali riforme elettorali
avrebbero portato ad una progressiva sostituzione delle gerarchie politiche con le gerarchie
economiche. Eppure anche per i Popolari non c’è altra strada che passare attraverso
l’attuale frammentazione e personalizzazione della politica per perseguire lo scopo di
ricostruire un grande partito di centro, culturalmente plurale tra culture politiche compatibili,
dotato di democrazia interna effettiva, e dunque anche contendibile. Una presenza da
rilanciare con l’organizzazione unita ad una costante capacità di elaborazione politica. Più
che agli organigrammi è tempo di pensare alle idee e a come farle circolare. Più che del
manuale Cencelli si avverte la necessità dello spirito del Codice di Camaldoli, al cui 80°
anniversario la Fondazione Donat-Cattin ha dedicato un recente convegno di
approfondimento.”.
Considerazioni che – seppur sembrano trascurare la causa comune che da tempo spinge i
diversi protagonisti della diaspora ad una auspicata ricomposizione nel segno di una
comune riproposizione in chiave attuale del patrimonio ideale e di valori del partito – lasciano
avvertire la comune esigenza di non trascurare le connotazioni programmatiche.
Per contro nessun cantiere in atto finora si è visto negli Organi statutari a ciò deputati,
mentre ai pur necessari obiettivi organizzativi non si accompagnano, in concomitanza,
altrettanti per la stesura programmatica secondo i diversi settori che investono la

progettualità generale e particolare che ogni partito ha il compito di elaborare come
imprescindibile strumento identitario, per non cadere nella genericità e nell’improvvisazione.
Un rapporto tra idee ed azione che deve trovare coerenza e fattibilità in un quadro
solidarista, con al centro la persona, la famiglia, il lavoro ed un fisco equo.
Insomma un progetto politico del partito in continuità con i valori primari che lo hanno, dalla
sua genesi, orientato.
Quello che si può trarre come conclusione è l’impressione, non troppo velata, che questa
segreteria sia risoluta nel giocarsi la partita delle europee nella chiara determinazione di non
puntare sulla scommessa, che dal XIX Congresso fu avviata, di una posizione distinta e
distante dalla sinistra demagogica e libertaria e dalla destra sovranista e populista, ma di
andare collateralmente al traino delle coalizioni di centrodestra, privilegiando collocazioni
ancillari e marginali.
Una scelta che quasi tutta la parte storica del partito non sembra riuscire a condividere.
Non trascurando il fatto che la nuova nomenclatura del partito, costruita principalmente
attorno a personalità, illustri, ma che difficilmente possono disfarsi di un pregresso bagaglio
identitario su posizioni, che li ha visti protagonisti di difese, ora marcatamente forti sui diritti
dei singoli( no vax) in conflitto con esigenze precipue del bene comune( entrambi diritti
costituzionalmente garantiti dove lo sforzo della mediazione, non solo del governo
dell’epoca, doveva trovare la massima espressione)ora di militanze di chiara impronta
liberista, entrambe legittime, che vanno rispettate, perché anch’esse non fanno che cogliere
aspetti della società, che ben si iscrivono nell’alveo del pluralismo, patrimonio storico del
partito, ma che non appaiono come il miglior accredito per proporsi, in questo fase politica,
come pontieri per una mediazione sia nel quadro delle nuove prospettive di alleanze in vista
della prossima legislatura, sia, guardando al nostro paese, con tutta l’area della diaspora
democristiana, a cominciare dai popolari( quella più in fermento in questo momento)per una
soluzione di comune convergenza verso il partito, in una chiara posizione di baricentro tra le
due coalizioni.
Anzi con la collocazione nei posti chiave, di personalità così identitariamente connotate, si
rafforza l’impressione che stia prevalendo una visione personalistica del partito, che rischia
di trasformarsi in mero comitato elettorale, puntando sempre meno sulle occasioni di
dibattito interno, volto più alla ricerca di qualche scranno nelle istituzioni( a cominciare dal
parlamento europeo) anziché costruire un partito a lungo respiro che riporti equilibrio e
coerenza nel sistema politico interno e non crei ambivalenza di linea nel quadro europeo del
popolarismo, dove si sta giocando una partita difficile, in vista del rinnovo della legislatura
del prossimo maggio, soprattutto per l’idea ardita del presidente del Ppe, Manfred Weber di
voler abbandonare l’attuale alleanza con i socialisti e portare i conservatori di G. Meloni e
ovviamente tutto lo schieramento di M. Le Pen e la Lega di Salvini a sostenere un nuovo
esecutivo, spostando il baricentro politico, nettamente a destra.
Per fortuna il suo temerario tentativo, ieri, nei primi assaggi di voto, in occasione
dell’approvazione della legge di ripristino dei suoli naturali e dell’ecosistema, non è andato in
porto.
La legge è stata approvata dal parlamento europeo con il voto di sostegno di 21 deputati del
Ppe in dissenso dalla indicazione del loro presidente M. Weber.
Speriamo che il presidente Weber sappia cogliere il chiaro segnale che l’obiettivo di una
coalizione tra Popolari e Conservatori, è per natura e storia del Ppe, impraticabile.
Come è indubbio il fatto che l’idea di spostare a destra l’attuale baricentro politico implichi
necessariamente la consapevolezza di accettare il rischio di trovarsi nella prossima
legislatura europea accanto ai rappresentanti dell’Afd( gruppo di estrema destra

tedesco)come possibili sostenitori del nuovo esecutivo( se davvero dovesse passare
quest’operazione) e dei tanti piccoli gruppi di estrema destra che pullulano in questo
momento in diversi stati dell’Unione.
Così come è deprimente immaginare l’effetto consequenziale di un Europa sotto la tenaglia
dei nazionalismi.
Sarebbe come dare consapevolmente la stura ad uno sgretolamento dell’Unione,
vanificando per sempre il sogno di un'Europa unita, come la immaginarono i padri
costituenti: K.Adenauer, A. Spinelli,A. De Gasperi, J. Monet e R. Schuman.
Per fortuna quel voto di ieri dei 21 eurodeputati del Ppe,in dissenso dall’indicazione del loro
capogruppo, ha reso evidente che questa strategia politica è non solo temeraria, ma assai
divisiva.
Ponendo in chiave strumentalmente più utilitaristica( ma non dovrebbe essere il nostro modo
di ragionare)la questione sul futuro politico del partito, c’è da chiedersi se le nostre
candidature si dovessero costruire ricorrendo a personalità, caratterizzati da forti
capovolgimenti identitari, quali aspettative potremmo coltivare circa l’affidabilità progettuale e
l’effettività di quei valori che la DC, attraverso il suo prezioso pluralismo interno, ha
rappresentato e che si vogliono rimettere in campo in coerenza con un’aggiornata visione
del paese e del suo sviluppo equilibrato e sostenibile?
Certo, nessuno si nasconde il cielo con un dito.
Se da una parte potranno apparentemente trarsi sufficienti consensi per il raggiungimento di
quel minimo elettorale in grado di conquistare qualche rappresentanza, dall’altra questa
artificiosa operazione potrebbe trasformarsi in una vittoria di Pirro, finendo per vanificare la
ricerca di un consenso solido e autonomo che fondi il proprio accreditamento su un progetto
di paese che in filigrana non abbia rifrangenze demagogiche o populiste.
Qui non è in gioco la legittimità di chi iscrivendosi al partito eserciti un proprio diritto di
elettorato passivo in concomitanza con la scelta degli organi a ciò deputati.
Il problema sorge se di questi casi se ne fanno i portabandiera di un progetto politico che
coinvolge in toto il partito, la sua storia e le sue ramificazioni territoriali.
Vien da chiedersi, e da chiedere ai nostri massimi dirigenti, se davvero si abbia in proposito,
o in pectore, di procedere con simili modalità elettorali, rischiose per il futuro, in continuità,
del partito, esponendoci a quell’elettorato ( più vicino al quadro di valori, che da sempre ha
caratterizzato la DC) cui potrebbero indurre perplessità e diffidenza, perché ancora troppo
soverchiante e abbastanza recente un certo protagonismo “antisistema”, o una militanza
pregressa ben connotata, almeno per come molti li abbiamo percepiti, con il rischio di
perdere l’occasione per costruire un’autentica alternativa di centro che ancora manca, a tutto
vantaggio delle estremizzazione ancora più accentuata del sistema politico.
Peraltro in questo quadro come in una sorta di gioco magico il partito che c’è finisce per non
identificarsi con quello che si percepisce, con il rischio di connotarsi di perniciosa
ambivalenza identitaria.
Saprà il segretario nazionale Totò Cuffaro riportare il partito nel solco degli insegnamenti di
don Sturzo e di tutto quel patrimonio di valori e di visione del paese capace di porsi come
fulcro di un equilibrio del sistema politico – oggi sempre più polarizzato – di contribuire a
ridurre divari e diseguaglianze tra i ceti sociali e sostenere politiche di autentico sviluppo
sostenibile e di progresso, nella pace tra i popoli, per un futuro che sia di tutti e non per
pochi.
13.07.2023
Luigi Rapisarda