Cassazione Ordinanza n. 4720/2023: “è ammissibile l’appello che, pur non contenendo l’esatta trascrizione delle parti di motivazione della sentenza impugnata, evidenzi comunque delle chiare censure critiche alla stessa.”

La Cassazione, con l’Ordinanza n. 4720 del 15 febbraio 2023, ha osservato che: “è ammissibile l’appello che, pur non contenendo l’esatta trascrizione delle parti di motivazione della sentenza impugnata, evidenzi comunque delle chiare censure critiche alla stessa.”
Una Sentenza, emessa dalla C.T.R. campana, aveva rigettato un appello alla decisione di primo grado che aveva confermato un avviso di accertamento di tipo sintetico, emesso ai sensi dell’art. 38 comma 4 del DPR n. 600 del 1973.
Davanti alla Cassazione il ricorrente lamentava che l’appello era stato ritenuto inammissibile, per violazione dell’art.53 del d.lgs. n. 546 del n. 1992, perché lo stesso non conteneva i necessari motivi specifici di impugnazione o qualsiasi censura specifica alla sentenza impugnata.
Orbene la Cassazione ha accolto il ricorso del ricorrente, cassato la sentenza di della C.T.R. e rinviato a diversa sezione della stessa.
Infatti, pur ammettendo che nell’appello non fossero state trascritte le singole parti della motivazione della sentenza impugnata, ritenevano comunque che, dalla lettura complessiva del gravame, e a prescindere dalla fondatezza delle sue asserzioni, erano comunque rinvenibili delle censure critiche alla sentenza di primo grado.
Sulla base di tali elementi, pertanto, l’atto di appello era del tutto ammissibile, contenendo specifici motivi di critica alla sentenza di primo grado che come già detto, la C.T.R. aveva confermato.

Avv. Salvatore Torchia

Scarica l’Ordinanza in formato pdf: Cass. Civ., sez. II, Ordinanza n. 4720 del 2022

Cass. Civ. S.U. Sent. n. 9479/2023: “la clausola del contratto resta abusiva anche se il consumatore non si è opposto all’ingiunzione. Spetta quindi al giudice dell’esecuzione controllare se la clausola ha natura vessatoria, ad esempio perché deroga al foro del consumatore.”

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la Sentenza n.9479 del 6 aprile 2023, hanno deciso che la clausola del contratto resta abusiva anche se il consumatore non si è opposto all’ingiunzione. Spetta quindi al giudice dell’esecuzione controllare se la clausola ha natura vessatoria, ad esempio perché deroga al foro del consumatore.
Si tratta di un’interessante decisione in quanto impone, al giudice che emette un decreto ingiuntivo, il controllo sul carattere abusivo delle clausole, in base agli elementi di fatto e di diritto. Inoltre la Cassazione chiarisce che lo stesso può esercitare poteri istruttori d’ufficio, ma sempre nei limiti del procedimento di ingiunzione.
A titolo di esempio chiedendo al ricorrente di produrre il contratto o fornire chiarimenti sulla qualifica di consumatore del debitore.
Comunque, di fronte ad un accertamento complesso, deve negare l’ingiunzione perché non può disporre una consulenza tecnica d’ufficio.
Se invece il giudice concede l’ingiunzione deve emettere un decreto motivato che dà conto del controllo eseguito. Inoltre deve avvisare il consumatore che può proporre opposizione entro 40 giorni perché, in caso contrario, non può più fare valere il carattere abusivo delle clausole e il provvedimento, non opposto, diviene irrevocabile.
Orbene la sentenza delle Sezioni Unite è importante perché, quando il decreto non motiva sul punto, spetta al giudice dell’esecuzione controllare se ci sono clausole vessatorie che hanno effetto sull’esistenza o l’entità del credito.
E ciò fino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito, anche attraverso un’istruttoria sommaria.
Le parti vanno informate dell’esito del controllo e l’esecutato viene informato che ha 40 giorni di tempo per proporre opposizione all’ingiunzione, solo per fare accertare la natura vessatoria della clausola.
Fino a quando il giudice dell’opposizione non decide, niente vendita o assegnazione.

Avv. Salvatore Torchia

Scarica la Sentenza in pdf: Cass. Civ. S.U. Sent. n. 9479 del 2023

Cassazione Civ. Sent. n. 8226/2023: “è inammissibile il ricorso del contribuente avverso la revoca parziale di un atto di accertamento emanato dall’amministrazione comunale.”

La Cassazione, con la Sentenza n. 8226 del 22 marzo 2023, ha stabilito che è inammissibile il ricorso del contribuente avverso la revoca parziale di un atto di accertamento emanato dall’amministrazione comunale.
Infatti, con la revoca parziale, non viene leso l’interesse del contribuente e non viene a configurarsi una nuova imposizione. Rimane quella precedente ridotta nel suo ammontare. Con la suindicata decisione la Suprema Corte, mutando il precedente orientamento espresso con la Sentenza n. 14243 del 2015, ha chiarito che all’ente locale non può essere impedito di emanare un provvedimento di annullamento parziale, in autotutela, del credito tributario accertato e di ridurre il quantum richiesto. Infatti, così procedendo, non è configurabile una nuova imposizione e di conseguenza è da escludere una lesione degli interessi del ricorrente.Peraltro, è da escludere anche una lesione dei suoi diritti di difesa in quanto, l’impugnativa relativa all’originaria pretesa, rimane “sub iudice”. Pertanto, non trattandosi di un nuovo accertamento, il provvedimento di rettifica non è autonomamente impugnabile.

Avv. Salvatore Torchia

Cassazione, Ordinanza n. 8506 del 24 marzo 2023: ” è nulla la sentenza del giudice che rigetta o dichiara inammissibile il gravame senza un’ attestazione della cancelleria che dichiara il fascicolo di primo grado ufficialmente smarrito.”

La Cassazione, con l’ordinanza n. 8506 del 24 marzo 2023, ha dichiarato nulla la sentenza del giudice che rigetta o dichiara inammissibile il gravame senza un’ attestazione della cancelleria che dichiara il fascicolo di primo grado ufficialmente smarrito.
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In sostanza la Suprema Corte ha voluto chiarire che le carenze organizzative degli uffici giudiziari non possono mai comportare conseguenze dannose per le parti del processo. Pertanto spetta all’amministrazione conservare i fascicoli della causa di primo grado e trasmetterli al giudice dell’appello. Si tratta di un obbligo che non è delegabile alle parti, se non sotto forma di invito, il quale non fa sorgere obblighi di sorta in chi lo riceve.
In mancanza del fascicolo di primo grado il giudice di secondo grado può decidere il gravame solo se gli atti contenuti non sono pertinenti all’impugnazione.

AVV. Salvatore Torchia

Le S.U. della Suprema Corte di Cassazione, con la Sentenza n.7682 del 16 marzo 2023, hanno affermato due importanti principi: 1) Il deposito di un documento, ai fini probatori in un procedimento contenzioso, non rappresenta ” caso d’uso ” ai fini dell’imposta di registro 2) La scrittura privata non autenticata, di ricognizione di debito, avendo portata meramente ricognitiva di obbligazioni certe, non riguarda prestazioni a contenuto patrimoniale. Pertanto sconta l’imposta in misura fissa al verificarsi del caso d’uso

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n.7682 del 16 marzo 2023, hanno affermato due importanti principi:
1) Il deposito di un documento, ai fini probatori in un procedimento contenzioso, non rappresenta ” caso d’uso ” ai fini dell’imposta di registro ( art,6 DPR n.131/1986).
2) La scrittura privata non autenticata, di ricognizione di debito, avendo portata meramente ricognitiva di obbligazioni certe, non riguarda prestazioni a contenuto patrimoniale. Pertanto sconta l’imposta in misura fissa al verificarsi del caso d’uso.
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Atteso il conflitto interpretativo, in merito all’inquadramento della ricognizione di debito, e considerata l’importanza della questione relativa al caso d’uso, il primo presidente della Corte di Cassazione disponeva l’assegnazione del ricorso alle sezioni unite.
Queste, richiamando una serie di precedenti in materia, hanno affermato che la produzione di un atto, nei procedimenti giurisdizionali, non configura caso d’uso, in quanto, tale concetto, presuppone una iniziativa discrezionale di chi intenda conseguire dal deposito un determinato effetto.
Circa il regime impositivo, applicabile alla ricognizione di debito, le Sezioni unite hanno ritenuto preferibile l’impostazione secondo cui si tende a valorizzare la portata meramente dichiarativa del riconoscimento. In pratica si tratta di un atto da cui non discendono effetti reali né obbligatori, avente la specifica funzione di agevolare il creditore sul piano dell’onere della prova.

Avv. Salvatore Torchia