Il supermarket del Centro ed il dilemma della DC

Luigi Rapisarda L’affannosa corsa contro il tempo in questa scadenza elettorale, assai ravvicinata, del 25 settembre per il rinnovo, nella nuova composizione, delle Camere, sta portando i partiti ad un tour de force per la definizione delle aggregazioni, nelle diverse forme, dalle semplici alleanze programmatiche, alle coalizioni, più o meno organiche.
Posizionamenti necessitati da una legge elettorale, “il Rosatellum”: un misto tra maggioritario e proporzionale, con sbarramento al 3 per cento.
Il fatto è che a meno di poche settimane dalla presentazione delle liste, tutto appare ancora in grande fluidità.
Dovuto in parte al clima di disorientamento e di acredine da parte delle forze di centrosinistra sulla scelta, assai avventurista di Conte, nuovo paladino del ritorno alle origini del movimento 5 stelle, e all’aperta ostilità verso Salvini e Berlusconi, che con la loro mossa tattica, in aperta difformità dalle condizioni poste da Draghi, disposto a proseguire la sua esperienza di governo senza disimpegno di alcuna delle forze dell’originaria maggioranza, hanno definitivamente spinto il premier verso la crisi di governo.
Una crisi che più che istituzionale è stata solo politica, perché formalmente l’esito del voto di fiducia non aveva che certificato la tenuta della maggioranza di governo.
Gli strascichi non sono stati pochi, a destra e a sinistra.
Il Pd non ha reagito con un semplice malumore, ma con la netta presa di distanza da Conte, al punto da doversi immediatamente inventare un’altra formula.
A destra con il rompicapo della premiership che Meloni pregusta già, con l’occhio attento ai sondaggi, al momento, unanimemente, favorevoli, e Salvini e Berlusconi che mal digeriscono, sebbene sembrano aver concordato l’aurea regola dell’ automatica designazione del leader più votato.
Per la verità quel verbo: designare, non sembra aver chiuso la questione, perché non fa diventare automatica la scelta.
Al momento è questa la coalizione che viene più accreditata a conquistare palazzo Chigi.
Il fatto è che a scorrere la summa del loro programma, ove non si fa velo di un corposo attacco al nostro impianto costituzionale, non rassicura tutta quella parte di elettori che guardano con moderato ottimismo a soluzioni di centrodestra europeiste e solidariste, anti lepenista ed anti Visegrad.
Mentre il Pd con la sua nuova formula del “campo aperto” è in cerca di nuovi alleati, ma rischia di cadere nel trabocchetto dell’armata Brancaleone.
Certo lo scenario non è di facile composizione, se si vuole battere la destra, ma il caleidoscopio degli accorpamenti che Letta sta cercando di comporre,spostando il suo asse verso il centro, dopo aver acquisito l’adesione della sinistra più radicale e degli ambientalisti, stringendo accordi organici, a cominciare dal partito di Calenda – che la mattina gli dice di essere pronto e la sera fa lo schizzinoso, puntualizzando, non a torto, sui tanti prevedibili imbarchi di politici, campioni dell’incoerenza e del trasformismo – lo espone a qualche diffidenza nell’elettorato.
C’è come dice Calenda il rischio di un fritto misto che spiazza buona parte dei sostenitori perché difficilmente quest’ agglomerato può aiutare a delineare, nel segno dell’agenda Draghi, un progetto serio, credibile e efficace.
Così dopo aver imbarcato i socialisti, Fratoianni e Bonelli attendono che si risolva la querelle tra Letta e Calenda( ma in realtà, per come si corteggiano, l’accordo c’è da tempo)sull’alleanza che questi offre a condizione( e a ben ragione il leader di Azione nell’intento di mantenere un minimo di compatibilità programmatica e per non giocarsi la credibilità associando campioni dell’ incompetenza e dell’improvvisazione) che i leader di SI e Verdi, assieme a Di Maio, restino fuori, quantomeno dai collegi uninominali, dove il concorso delle forze coalizzate è necessario.
C’è poi tutta la sceneggiata dei transfughi del movimento 5 stelle, campioni del trasformismo,nella nuova veste di “Salvatori della patria”, che, dopo aver distrutto gli assi portanti del nostro modello di sviluppo e premiato l’ozio anziché il lavoro, sotto l’ombrello del simbolo omnibus di Tabacci, stanno aspettando, in processione, da Letta, qualche collegio sicuro.
E, ironia della sorte, pare sia stato proposto un collegio proprio nelle vicinanze di Bibbiano, sui cui noti eventi, Di Maio ne fece un cavallo di battaglia nella precedente campagna elettorale del 2018.
Certamente non sarà facile per Letta tacitare la quasi rivolta dei militanti di quel territorio.
Quando si dice l’impudenza infinita!
Insomma uno spettacolo da circo Barnum che ha trasformato la nobile collocazione centrista in un supermarket per candidature sicure.
Vien da chiedersi, come ha fatto, in questi giorni, Follini su La Voce del Popolo, se, a questo punto, c’è davvero uno spazio al centro?
“Lo spazio del centro c’è, ancorché sia angusto. A un patto, però. Che si tratti di un luogo di cucitura, di raccordo, di misura reciproca. E non invece un luogo in cui diventa difficile convivere per l’eccesso delle sue personalità e per la difficoltà a farle stare assieme con un briciolo di armonia. Poiché il centro, appunto, è un luogo di concordia oppure non è”.
Risposta lapidaria e nel contempo articolata.
Se da una parte non fa velo del fatto che non rimarranno fuori dal tavolo tutte le ambiguità tra i leader nella prevedibile competizione tesa ad assumere il ruolo di federatore nel caleidoscopio delle forze eterogenee per metodi, programmi e obiettivi, non risolve il dilemma se e quale spazio può ritagliarsi, in questo ruolo di raccordo e cucitura, l’area cattolica, impegnata a dare prosecuzione all’esperienza della DC.
E non è da meravigliarsi visto che Follini dà per non più riproponibile quell’esperienza.
Ma l’ipotesi di un rassemblement non è solo di queste settimane.
Già a dicembre dello scorso anno F. Provinciali scriveva su Il Domani d’Italia:
“Ad essere realisti, osservando la mappa attuale degli schieramenti, lo sparigliamento dei gruppi specie al centro – da sempre determinante per alleanze, bilanciamenti e quorum necessari – potrebbe scoraggiare il più audace teorico di una nuova rappresentanza politica identitaria del cattolicesimo social-liberale: il rassemblement che si va configurando per fare spazio ad un tertium genus politico è luogo di incroci, provenienze e identità diverse, convergenze ispirate da temperante moderazione.”
Ed ancora:
“..basta osservare la variegata presenza, ufficiale o occultata dentro partiti più consistenti, per rendersi conto di quanti inquilini attuali vogliano rinnovare il contratto di locazione. Udc, Coraggio Italia, Italia viva, Azione e +Europa, Maie-PSI-Facciamo Eco, Minoranze linguistiche, gruppo misto, Centro democratico, Noi con l’Italia, Rinascimento-Usei,-Adc, Alternativa, Democrazia Cristiana, senza contare deputati e senatori non iscritti ad alcun gruppo ma in attesa di più sicura collocazione.”.
Tutti pronti a divincolarsi dai vecchi padroni elettorali o dalla necessitata collocazione a destra o a sinistra, ma con il grosso fardello di come poi mettere insieme, con una progetto coerente e credibile, questa miscellanea di identità, liberale, socialista, riformista, radicale, azionista e popolare.
Perché il problema è sempre il medesimo: chi tirerà le fila?
Saprà la DC accreditarsi subito come forza di mediazione e ricucitura, delle diverse istanze che mirano in quella direzione o dovrà più semplicemente accontentarsi di giocare una partita al traino di altre forze, alla mercé di decisioni sugli schieramenti, in vista del futuro governo, che rispondono a logiche non proprie, dovendo, obtorto collo, superare l’impaccio della raccolta delle firme?
Ma non v’è chi non prende il problema più da lontano ripercorrendo le cause che hanno portato il mondo cattolico ad allontanarsi dalla politica attiva come fa il prof. V. Zamagni.
In un suo recente articolo su “politicainsieme.com“, Egli, partendo dalle radici dell’impegno dei cattolici in politica, si chiede quale sia, oggi, il compito proprio del mondo cattolico nell’arena politica.
E così argomenta:
“..La risposta ci viene da un celebre brano del card. H. Newman, oggi beato: “E’ venuto il tempo in cui i cattolici, che vivono di fede, per essere tali devono difendere la ragione. E proprio la ragione ci dice che è venuto il tempo in cui i cattolici che vogliono vivere di più società, devono difendere la politica (Sic!), però non una politica qualunque, ma quella della nostra convivenza civile”. E cosa chiede, oggi, “la nostra convivenza civile? Che si ponga mano, e in fretta, alla vexata quaestio della comunanza etica nella società del pluralismo, per riprendere il titolo di un recente importante scritto di F. Viola. In breve, si tratta di questo. Il pluralismo contemporaneo per definizione rifiuta l’idea di un’etica comune. Al tempo stesso, però, la vita associata – e soprattutto la politica – esige una comunanza (la koinotes di cui ha scritto Aristotele) fondata su principi etici se non vuole ridursi a mero proceduralismo. In assenza di comunanza, ci si rifugia nel relativismo, nella convinzione errata che il metodo dello svincolo (avoidance) sia l’unica strada percorribile per evitare il conflitto e assicurare così una parvenza di pace sociale. Che si tratti di pericoloso errore dovrebbe essere chiaro a tutti.
Ebbene, la ricerca di una via attenta al rispetto del pluralismo etico e al tempo stesso capace di suggerire una comunanza etica significativa è la grande missione del mondo cattolico in questo tempo. Una società del pluralismo non può certo essere sorretta da un’etica univoca, ma può aspirare ad una inter-etica generata dall’incontro di quelle varietà culturali che abitano la stessa vita pubblica. Invero, la comunanza che si cerca non può essere né quella propria di una comunità culturale, né quella propria di una comunità religiosa – mai si dimentichi che è con il Cristianesimo che storicamente si afferma il principio di laicità – ma quella di una comunità politica. Il compito specifico di quest’ultima è quello di far convivere, in vista del bene comune, portatori di visioni diverse.
E’ culturalmente attrezzato il nostro mondo cattolico per una missione del genere? Penso proprio di sì, purché lo si voglia..”.
Un bel rompicapo.
Che suscita la conseguente domanda:
C’è oggi, per un compito così impegnativo, un partito diverso dalla Democrazia Cristiana, in grado di rappresentare pienamente il mondo cattolico, capace di raccogliere, in questa fase elettorale così convulsa, un sostegno ed un consenso sufficiente per affermare questi obiettivi?
E la stessa DC – schiacciata sul dilemma se collocarsi, senza se e senza ma, al centro con il gravoso onere di andare nei territori, in così breve tempo, a raccogliere le firme o apparentarsi con forze che ne assicurino la presentazione del simbolo senza questo pesante adempimento, ma che possono non garantire la stessa sensibilità centrista al momento della formazione di un esecutivo – come potrà fare fede alla recente decisione della Direzione nazionale di orientare il proprio impegno elettorale nel variegato riferimento programmatico, di cui alla cosiddetta “agenda Draghi” “..sulla prospettiva di una ampia aggregazione elettorale politicamente caratterizzata dalle componenti liberal democratiche e dal popolarismo cattolico può certamente trovare spazio la partecipazione e l’impegno della Democrazia Cristiana.”?
Ora chiedo agli amici se davvero ritengono praticabile, in un quadro politico dominato da una legge elettorale che ci riporterà ad un malsano bipolarismo, l’ipotesi di un’aggregazione ridotta alle componenti liberal democratiche e popolari, che già ampiamente sono state in parte ipotecate da accordi, seppur si vogliano ritenere strumentali, con il Pd?
Forse andrebbe recuperata una visione più realistica dello scenario politico se non vogliamo cadere nel velleitarismo.
Mentre tutte le discettazioni sul centro al di fuori di una una legge proporzionale, oggi, appaiono dei semplici virtuosismi di maniera.
Anche se per C. Coriolano su Il Domani d’Italia, in questo quadro la sfida che avanza Renzi non va sottovalutata.
Costretto, per la diffusa diffidenza che egli suscita nel Pd, ed in buona parte dell’elettorato, ad inventarsi un’ipotesi di terzo polo, diverso dalla destra sovranista e dalla sinistra delle tasse, non gli sarà d’aiuto lo scarso numero di consensi che i sondaggi gli accreditano, tanto da apparire impresa assai irrealistica.
Renzi immagina un polo che metta in primo piano il lavoro e non l’assistenzialismo, la giustizia e non il giustizialismo, l’ambiente e non le chiusure ideologiche, infrastrutture e non veti, diritti e non slogan”, e pur se non si nasconde il fatto che “andare da soli contro tutti è difficile”, prefigura il fatto che raggiungere l’obiettivo del 5 per cento non è impossibile.
Insomma, la sfida “al centro” del leader di Italia Viva va vista, come dice Coriolano, nel citato articolo, “(come) una prova di orgoglio in nome di un Paese a sua volta intollerante nei confronti di un bipolarismo forzatamente riproposto, quasi che l’esperienza del governo Draghi fosse da archiviare alla stregua di una semplice parentesi tra un prima e un dopo della normale dialettica democratica. Invece non è stata una parentesi, almeno non per molti elettori che nutrono la speranza di un positivo ricentramento della politica italiana, consci che il “centro” esiste e funziona se mette insieme le autentiche culture riformatrici del Paese.”
Ma c’è anche da mettere in conto che Renzi durante tutta la sua stagione governativa non è stato un campione di democrazia nel suo Pd.
Il problema è che tempi così stretti per la campagna elettorale, soprattutto per le forze politiche che si sono man mano collocati al centro, non aiutano, con l’immanenza del “Rosatellum”, a imboccare simili avventure centriste, perché di spazi da terzo polo, allo stato, non se ne intravedono, a meno di non voler rischiare la mera testimonianza di bandiera, se si è fortunati a superare la soglia di sbarramento, magari con un semplice 1 per cento,collegandosi con qualche altra forza che riesca a superare lo sbarramento del 3 per cento, o aggregarsi ad uno dei due poli, che al momento si contendono il nuovo esecutivo, ma con tutte le connesse trasfigurazioni delle specifiche identità politico-programmatiche.
2.08.2022
Luigi Rapisarda

Giudice di Pace di Acireale – Date ed Orari delle udienze Penali del mese di luglio 2022 per numero di ruolo generale.

Al fine di contribuire alla massima diffusione delle notizie e delle comunicazioni afferenti l’Ufficio del Giudice di Pace di Acireale, sopratutto in conseguenza delle misure anti covid-19 adottate dal medesimo, che prevedono la chiamata ad orario prefissato di ogni singolo procedimento, l’Associazione Forense Acese, continuando nel rapporto di fattiva collaborazione con la relativa cancelleria, pubblica qui sul proprio sito gli orari in cui verranno chiamati i procedimenti penali del mese di luglio 2022.

Detti orari saranno visionabili sul seguente file evidenziato in grassetto, in formato .pdf, scaricabile cliccandovi sopra.

Ovviamente, i riferimenti sono soltanto al numero del procedimento, nel rigoroso rispetto della privacy.

dott.ssa Patané udienza penale del 12.7.2022

Il Vicepresidente A.F.A.
Mario Tornatore

Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.18637 del 9 giugno 2022: “la rettifica, in sede giudiziale, della rendita catastale ha effetto retroattivo.”

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.18637 del 9 giugno 2022, ha stabilito che la rettifica, in sede giudiziale, della rendita catastale ha effetto retroattivo. Pertanto il contribuente ha diritto al rimborso dell’imposta comunale pagata, in misura superiore al dovuto, durante lo svolgimento del processo.

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Per la Suprema Corte la sentenza passata in giudicato, che determina la misura della rendita catastale, rappresenta l’unico dato da tenere in considerazione ai fini dell’individuazione della base imponibile.
Invero la sentenza non può che avere efficacia anche per il passato a tutela del contribuente.
Ne discende che, ove sia stata pagata, ai fini IMU, una somma superiore a quella determinata con la rendita rettificata, si ha diritto al rimborso.
Il rimborso, tra l’altro, non è limitato ai 5 anni precedenti, come avviene normalmente, ma si estende a tutte le annualità per le quali è maturato il relativo diritto.

Avv. Salvatore Torchia

Scarica Ordinanza in formato pdf: Cass. Civ. Ordinanza n. 18637 del 2022

IL COLOSSO DI RODI E IL CARRO ALLEGORICO DEI CENTRISTI

Luigi RapisardaL’iniziativa di Mastella che vuole riunire sotto uno stesso tetto tanti generali senza truppe e senza popolo la lasciamo alle fantasie dei più arguti romanzieri.
Mentre stupisce che il Corriere, da un po’ di tempo, dia spazio a singolari vagheggiamenti senza una palese agibilità politica.
Un ennesimo abbaglio estivo?
Se fosse, per assurdo, una ipotesi praticabile e decidessimo di entrare in questo frullatore, seppelliremo definitivamente il partito.
Questa, non solo a mio parere, è, con l’ultima prodezza trasformista di Di Maio che si è palesemente beffato del suo recente passato, quindi di se stesso, e dei suoi elettori, un’operazione di supponenza del potere, che non trova di certo estraneo Draghi, teso a rifarsi dalla bocciatura del suo irrefrenabile desiderio di andare al Quirinale, e si tramuterà in un flop inaudito, per lui e per tutti i carri del firmamento centrista, perché appare già al suo affacciarsi una costruzione su piedi di argilla che li farà sgretolare come il Colosso di Rodi, con il rischio di trovarsi nel Pantheon dei tanti, da Monti a Renzi e altri, passati improvvisamente dalle stelle alla polvere.
Scrive stamane, in un suo articolo su Il Domani d’Italia, Lucio D’Ubaldo:”..Dietro la politica di centro della Dc c’era una cultura di governo e un criterio direttivo, operava dunque una visione strategica, tanto da far dire a De Gasperi che il suo era un partito di centro in cammino verso sinistra”.
Ed ancora:
“Stare al centro voleva dire proporre una “terza via” tra collettivismo e capitalismo, dando alla lotta contro il comunismo una curvatura fortemente democratica e alla pregiudiziale antifascista un carattere fondativo dell’identità di partito. Non solo Moro ma lo stesso Fanfani, magari con un taglio volontaristico eccessivo, propugnava la funzione di un centro dinamico, capace di rispondere alla domanda di giustizia che nasce e s’impone con l’evoluzione economica e civile della società. Tant’è vero che la storia più interessante e dunque più vera della Dc sta nella ricerca e costruzione di un progresso a dimensione umana, dove l’interclassismo costituiva la formula aideologica dell’alleanza tra ceti medi e classi popolari.”.
Oggi un’avventura centrista, come delineata dai tanti leader che stanno affollando quel punto spaziale dell’emiciclo parlamentare, riduce o annienta le potenzialità di ciascuna forza, con l’unico risultato di costruire un contenitore sterile, rissoso e dai mille volti, come fosse un caleidoscopio di maschere pirandelliane, e “brucerebbe” la grande opportunità di potersi giovare ancora, magari in un ruolo di titolare di un dicastero economico, delle elevate competenze di chi oggi possiamo definire essere stato la guida più autorevole di questi trent’anni di vita politica
post-democristiana.
Penso che l’Italia abbia bisogno di imboccare, con la fine di questa tormentata legislatura, una strada diversa, ponendo fine a governi ibridi o tecnocratici.
Dobbiamo lavorare, assieme alle tante forze politiche che ne condividono l’idea, per una prospettiva di governo politico, chiudendo definitivamente il commissariamento di questa classe politica così inadeguata e incapace di assicurare al paese la diretta responsabilità nelle scelte, che sono e restano precipue della politica, non essendo più dignitosi continuare a paludare, dietro personalità, autorevoli, ma che hanno una visione tecnocratica e neutra degli effetti che le scelte dell’esecutivo determinano nei diversi strati sociali del paese, oggi sempre più minacciato da un crescendo delle sofferenze sociali che l’accelerato depauperamento di buona parte della classe media, in aggiunta a quello ormai consolidato della classe operaia, sta portando a livelli preoccupanti.
Per quanto ci riguarda dobbiamo accentuare le nostre iniziative mirando ad alcuni punti chiave del nostro programma politico che deve essere definito con molta oculatezza, tenuto conto che si sta profilando un dramma sociale per tante famiglie impoverite dall’aumento dei prezzi soprattutto delle energie e da una forte, soprattutto per i giovani, sempre più accentuata precarizzazione del lavoro.
Ma non possiamo dimenticare il fatto che c’è in atto un crescendo di patologie, soprattutto tra gli anziani, le cui cure essenziali in tantissimi casi sono state rinviate o non seguite nella giusta misura nei periodici protocolli, causa l’appesantimento delle procedure di accesso ai servizi ospedalieri ed ambulatoriali, per il Covid, con l’esposizione di tanti di questi pazienti ad aggravamenti e decessi che forse potevano essere evitati.
Poi c’è tutta la questione del ruolo dell’Italia, non solo in seno all’Europa, dove si assiste ad un appiattimento su posizioni scopertamente belliciste, ma anche per l’abbandono della sua naturale vocazione ad essere, nel quadrante mediterraneo, oggi teatro di ingerenze sempre più tentacolari di Russia, Turchia e Cina, un saldo punto di riferimento geopolitico,
Ma non pone da meno grandi interrogativi il riemergere prepotentemente nel mondo, con la recente Decisione della Corte suprema americana, dell’annoso conflitto sui cruciali temi della vita, della riconsiderazione dei confini della sua tutela e dei tanti artificiosi “diritti rifrangenti”.
Tutte questioni di cui ieri, nella relazione introduttiva, in seno all’Ufficio politico, pavida e senza anima, del segretario nazionale DC, non ho sentito accennare o delineare nella giusta valenza, a parte le solite frasi fatte che di prammatica si ripetono in queste sporadiche occasioni di confronto nazionale.
È mancata insomma una sapiente lettura della realtà sociale, economica e generale del paese, e una visione di insieme, prodromica alle tante iniziative che dobbiamo affrettarci a mettere in campo, per lavorare in aderenza alle necessità dei territori e del paese in generale, in mancanza di una chiave di lettura e di un nuovo conio propulsivo che potrebbe provenire dal Congresso, che invece inopinatamente si spinge sempre più in là, quando arriveremo oramai alla scadenza elettorale per il rinnovo del nuovo parlamento, a giochi fatti.
Non riesco a comprendere come questa segreteria nazionale non colga il fatto che è questo il momento per confrontarsi, e non a ridosso degli impegni elettorali.
È lo stato stesso del paese ad imporre a tutte le forze politiche un immediato cambio di passo.
Sicché continuare a rinviare, alle calende greche, il Congresso, ci costringe a fluttuare in un limbo senza via d’uscita.
Forse è l’effetto inebriante dell’epopea siciliana, che però sconta già un non ben valutato effetto “alone” indotto dai virulenti attacchi mediatici a Cuffaro e per conseguenza al partito.
Attacchi concentrati mediaticamente nella travisata ma efficace qualificazione di “partito di Cuffaro”, musica fine per quell’opinione pubblica cui le basta un tale battage per solleticarsi in modo ostile.
Mentre appaiono sempre più diradati i dubbi che questa campagna denigratoria stia colpendo nel segno, se risulta vero che, dopo un così impegnativo sforzo per conquistare rappresentanza in Comune, sembra farsi inopinatamente strada un’auto-condizionamento, a non entrare in giunta, per dimostrare che non si è mossi da alcuna brama di “potere”.
È un po’ come quelli che costruiscono una casa per poi non andarci ad abitare nessuno.
Posizione che, se fosse confermata, sarebbe sbagliatissima e assurda, per la semplice ragione che chi va a rappresentare una parte del territorio ha tutto il diritto-dovere, avendo contribuito ad esprimerne il Sindaco, di esplicitare nei fatti e di partecipare, all’amministrazione della cosa pubblica.
Se c’è da dimostrare il senso del cambiamento, è questo uno dei mezzi che l’impegno politico offre, anzi è un dovere.
Diversamente si darebbe l’impressione di fuggire dalle responsabilità che quelle promesse di trasparenza, di imparzialità e di sana capacità di gestione degli interessi collettivi di questa nuova classe politica democristiana, impongono, e finirebbe per tradursi in un mero atto di inconcludente testimonianza.
Se la nostra azione si ispira all’idea sturziana della politica come “spirito di servizio”, questa scelta non sarebbe mai stata approvata dal grande maestro, fondatore della DC.
A ciò si aggiunga la specificità di una visione di territorio e di comunità cittadina che si farebbe mancare, nel segno di tutte quelle istanze sociali e strutturali che caratterizzano quel martoriato territorio.
Ne discende per il partito, subito, la necessità ineludibile di definire una precisa strategia politica di breve e lungo periodo, che si fondi su una visione di società, di politica estera, (oggi tanto cruciale per la necessità di definire un nuovo assetto geopolitico che ponga fine alle guerre e consenta una pacifica convivenza tra i popoli),di efficaci teorie politico-sociali ed economiche capaci di scuotere le coscienze dell’opinione pubblica:di quella buona metà dell’elettorato che continua a stare alla finestra, ma anche di quelli che votano, turandosi il naso.
Ma dovrà essere anche il limite di quelle alleanze nelle coalizioni che non dovremo mai rinunciare a porre da catalizzatore per obiettivi comuni, in un quadro di politiche che si incarichino di bandire ogni sorta di propaganda populista e di malinteso sovranismo, o ancor peggio nazionalismo, capace di minare alle basi i principi di pacifica convivenza tra i popoli.
Serve pertanto senza indugio un Consiglio nazionale che deliberi prima possibile la convocazione del Congresso nazionale.
In questo quadro, senza questi ingredienti, saremo destinati a non esistere.
26.06.2022
Luigi Rapisarda

TRA VISIONARI,TRASFORMISTI E USURPATORI: GLI ABBAGLI ESTIVI DEL CORRIERE DELLA SERA

Luigi RapisardaSul Corriere della Sera del 19 giugno scorso vi è una intervista all’on.le Carelli, attualmente nelle file di Coraggio Italia, già ex Cinque Stelle.
Egli è un signore, dal pensiero mite, che si è infilato nell’avventuroso mondo dei 5 stelle per trasformarsi da “uomo in panciotto” in “ardito barricadiero”, per la guerra senza sconti alla casta ed ai suoi privilegi.
Non deve essere stata facile la convivenza in questa variopinta comunità di giacobini ed hebertisti della prima ora.
E difatti non c’è voluto molto tempo perché ne emergessero tutte le incompatibilità con uno stile personale di tutt’altra fattura.
Certe esperienze però segnano, portando con sé tutta la dimensione dei nostri tormenti, del nostro voler essere protagonisti non passivi, ma costruttori del nostro futuro.
In questi casi, solo l’indulgente comprensione di chi ha dimestichezza di vita politica può cogliere i segni tangibili di scelte sbagliate, con intenzioni non opportunistiche.
Tuttavia sono modi erranti del pensiero che portano a scelte che se si interpongono,incomprensibilmente, in un percorso di coerenza personale, finiscono per non fare apparire, oggettivamente, rassicurante, oltreché stupefacente l’idea di certe disinvolte ricerche della scorciatoia, a qualsiasi costo, pur nella ingenua consapevolezza di non pregiudicare la propria identità culturale, magari costruita attorno a valori che contraddistinguono visioni politiche e di paese sussumibili in una collocazione centrista, neo-democristiana, di cui Carelli se ne incarica,inopinatamente, di farsi portavoce.
E invece queste giravolte, o se si vuole,queste torsioni lasciano tracce che non si rimuovono facilmente e gettano una luce sinistra sulla affidabilità politica di chi se ne è reso protagonista.
Ancor più incomprensibile, che Egli indichi un altro dei campioni del trasformismo come possibile federatore della DC.
In tal senso è sembrato acconciarsi nel rispondere alla domanda:
” State candidando Di Maio a leader di una nuova DC ?
Risposta : E perché no? Parliamone” .
Una intervista surreale che rivela, ancora una volta, che il Corriere ha perso il fiuto del giornale di un tempo.
Se va appresso a bizzarrie di questo genere, accreditandole come degne di interesse e sviluppi positivi per l’Italia, vuol dire che è proprio alla frutta.
E qualcuno si chiede nel partito:è il caso di parlarne?
Direi di sì!
Non solo per farsi quattro risate.
Ancor più per smascherare gli obiettivi di certa stampa che magari non disdegna di mettere ancora una volta in cattiva luce la riedizione della DC, ignorando l’avviato sforzo organizzativo e il ritorno in campo con lusinghieri risultati.
Stupisce che un giornale di tal rango dia spazio a fantasticherie così campate in aria.
Immaginare una DC,che vuole recuperare gli assi portanti del pensiero di don Luigi Sturzo, De Gasperi e Moro, alla febbrile ricerca di una classe dirigente, fatta di transfughi e populisti pentiti, così poco adatta a governare processi decisionali, non solo complessi, e grandemente inclini al trasformismo, rende l’idea di un giornale che ha perso l’aderenza con le profondità dei processi socio-politici in corso, con danno immane per la credibilità di quella parte di paese che si sta organizzando dando voce, in modo innovativo, a realtà politiche già sperimentate, come appunto la DC, che si è rimessa in campo con straordinari risultati, in questa recente tornata, a Palermo ed in altri Comuni della Sicilia.
I cambi di linea, l’improntitudine al facile ribaltamento di regole e impegni, oltre ad un qualunquismo identitario, con l’unico obiettivo di non mollare il potere, inteso non solo come posto di comando, ma come godimento di privilegi che si volevano ferocemente cancellare( emblematica tutta la questione sulla interruzione anticipata della legislatura con perdita del diritto al vitalizio questione, che però non è stata una peculiarità dei soli 5stelle)tanto da non avere remore di sorta nell’imbarcarsi in governi di segno opposto, con forze politiche che bollavano come incompatibili,ci stanno ora consegnando un numero sempre crescente di ex 5 stelle, che raminghi, vagano in cerca di nuove identità.
Non ci vuol tanto per cogliere tutti i segni malsani di un sistema politico decadente e senza vie d’uscita.
Tra le tante ci basti cogliere le imprese più eclatanti di chi ne è stato l’artefice principale, essendone il leader designato, ossia, Luigi Di Maio e lo facciamo con le parole di G. Merlo da Il domani d’Italia del 19 giugno scorso:
“..adesso è diventato quasi come noi. Cioè un convinto e quasi feroce sostenitore del Centro e del centrismo. E, di conseguenza, respinge in modo secco “il partito dell’odio”, gli insulti agli avversari, la trivialità del linguaggio, “il disallineamento” rispetto alle alleanze tradizionali dell’Italia sul piano geopolitico; crede nella stabilità del governo; esalta Draghi; valorizza il ruolo dei partiti e delle culture politiche e mi fermo qui per motivi di spazio… Resta solo un piccolo, piccolissimo particolare. Tutte le cose che ha detto per quasi 20 anni su questi temi – ovviamente e scientificamente erano l’esatto opposto di ciò che sostiene in queste ultime settimane – cosa ne facciamo? Li resettiamo dalla rete? Li cancelliamo come battute fuor di luogo? O, molto più semplicemente, diciamo che solo i cretini non cambiano mai idea? Ecco, nel rispetto di tutte le opinioni, siamo solo indecisi su come dobbiamo giudicare quel passato che è durato sino a poche settimane fa.”
Come possiamo poi non citare la brutta performance di questo campione del voltafaccia, impudente, con il dileggio subito dall’Italia per il “piano di pace” in Ucraina, elaborato proprio dal nostro Ministro degli Esteri, bollato non solo da parte dell’establishment russo come documento di emeriti dilettanti, ma respinto al mittente anche dalla stessa dirigenza Ucraina.
Insomma pensare che per ripresentarci al paese abbiamo bisogno di transfughi e Masanielli pentiti, è davvero un’idea da “paese delle banane”.
Non ci dimentichiamo altri eclatanti camei del nostro “autorevole” esponente dei 5 stelle: tra essi spiccano, per avvedutezza politica, l’iniziativa, con ragioni del tutto strampalate, dell’impeachment di Mattarella e il sostegno dato personalmente, con tanto di visita di cortesia, ai gilet gialli, emblema dell’antisistema in Francia, mentre ora si fa paladino del Draghismo più ortodosso.
Insomma l’ennesima contorsione per come farsi beffa di quella regola del doppio mandato con cui Di Maio e il suo movimento hanno carpito il voto di tanta gente.
Così c’è da restare senza parole davanti alla spregiudicatezza, senza freni, di questa schiera di rappresentanti, che dopo aver conosciuto delizie e privilegi della casta, che volevano annientare, non vogliono più schiodare da quella “scatoletta di tonno” che a furor di popolo volevano aprire.
Così dicevano..!
Che ora si accapiglino tra mille espedienti per vanificare quella regola, che è stata uno dei cavalli di battaglia per attaccare il sistema politico, istituzionale e la democrazia rappresentativa, con lo slogan “uno vale uno”, ci rende ampiamente l’idea di quanto fossero artificiose ed ingannevoli le loro promesse.
E tutti i nodi sono venuti al pettine.
Mentre c’è ormai la certezza, ampiamente preconizzata dalla totale défaillance alle recenti amministrative, che si stia chiudendo l’epoca del funambolismo politico per tanti di questi improvvisati “rivoluzionari”, resteranno ancora chissà per quanto tempo i cascami di un’era tanto plumbea per il paese, per l’irradiarsi di un sistema che elevando a modello l’incoerenza, l’insincerità e l’improvvisazione, si è posto davanti agli elettori, come in un gioco di specchi.
Per fortuna tanti italiani, in questa tornata amministrativa nella quale il movimento 5 stelle sembra quasi scomparso dai territori della nostra penisola, non si sono fatti prendere per i fondelli.
Se ci consola il fatto di pronostici che danno per certo il ritorno in parlamento di una sparuta minoranza di questi improvvisati giacobini, con la sempre più concreta prospettiva, per molti di loro, di tornare definitivamente a casa e forse doversi inventare un lavoro; non sarà facile fronteggiare l’eredità amara di un parlamento mutilato, e per questo non più inadeguato a rappresentare nella giusta proporzione e misura i territori, con tutto lo squilibrio del sistema che esso comporta per il nostro assetto costituzionale.
A questo punto non sembra ultroneo che Draghi, preso atto della corale sfiducia a Di Maio da parte del Consiglio Nazionale, per il totale disallineamento dalle posizioni del movimento 5 stelle sull’invio di armi all’Ucraina, non essendo più di fatto espressione di alcuna forza politica, ma solo di se stesso, provveda a sostituirlo con un nuovo Ministro degli Esteri.
20.06.2022
Luigi Rapisarda