Cass. Civ.,  Ordinanza n. 21214/2024: “le operazioni di versamento su conto corrente possono essere usate con valore presuntivo verso tutti i contribuenti. Infatti sono quelle di prelevamento che hanno tale valenza solo nei confronti dei titolari di reddito d’impresa.”

La Cassazione,  con l’ordinanza n. 21214, emessa il 30 luglio 2024, ha specificato che le operazioni di versamento su conto corrente possono essere usate con valore presuntivo verso tutti i contribuenti. Infatti sono quelle di prelevamento che hanno tale valenza solo nei confronti dei titolari di reddito d’impresa.
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La Suprema Corte ha, in pratica, chiarito che la presunzione legale, relativa alla disponibilità di maggior reddito desumibile dalle risultanze dei conti bancari, non viene meno all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014.
Ciò, stante che le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito d’impresa. Mentre,  quelle di versamento,   operano nei confronti di tutti i contribuenti. Questi possono contrastarne l’efficacia dimostrando, in concreto,  che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta,  che provengono dalla vendita di un immobile o di altro, o sono irrilevanti.
Di conseguenza, anche all’indomani della pronuncia della Consulta,  resta invariata la presunzione legale, posta dall’art.  32 DPR n.600 del 1973, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo.  Pertanto questi sarà onerato di provare, in modo analitico, l’estraneitaà di tali movimenti ai fatti imponibili.
  Avv. Salvatore Torchia 
Scarica l’Ordinanza in pdf: Cass. Civ. Ord. n. 21214 del 2024

Cassazione,  Ordinanza n. 13268/2024: “in tema di contenzioso tributario, il riferimento alla peculiarità della controversia,  non appare idoneo motivo atto a sostenere validamente il capo di sentenza che disponga la compensazione delle spese di lite.”

La  Corte di Cassazione,  con l’ordinanza n. 13268 del 14 maggio 2024, ha chiarito che in tema di contenzioso tributario, il riferimento alla peculiarità della controversia,  non appare idoneo motivo atto a sostenere validamente il capo di sentenza che disponga la compensazione delle spese di lite.
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La Suprema Corte è stata costretta a ribadire che la compensazione delle spese può essere disposta solo qualora sussistono gravi ed eccezionali ragioni, ma  esplicitamente indicate nelle motivazioni.
Infatti, con la riforma del processo tributario,  a decorrere dal primo gennaio 2016, la regolamentazione delle spese processuali è contenuta nell’art. 15 comma 2 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Questo così dispone: ” Le spese di giudizio possono essere compensate, in tutto o in parte,  dalla Commissione Tributaria, soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistono gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.
In altre parole il giudice non può limitarsi a dichiarare l’esistenza di gravi motivi per compensare le spese del giudizio,  come prima era ben possibile fare, ma questi motivi devono essere indicati specificatamente e non più espresse con una formula generica.
Avv. Salvatore Torchia

Cassazione, Ordinanza n. 18424/2024: “non è ammessa la sanatoria della notifica inesistente di un atto processuale, affetta da una gravissima irregolarità, anche se la controparte si costituisce in giudizio.” 

La Cassazione,  con l’ordinanza n. 18424 del 5 luglio 2024, ha stabilito che non è ammessa la sanatoria della notifica inesistente di un atto processuale, affetta da una gravissima irregolarità, anche se la controparte si costituisce in giudizio.
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Questa decisione, anche se si riferisce alla notifica di un ricorso, tramite Pec, nel momento in cui non era ancora operativo il processo telematico tributario, può applicarsi a tutti i casi di notifica inesistente e quindi insanabile anche se la controparte si costituisce.
In effetti, in passato,  la Cassazione è stata un po’ ondivaga, perché ha ritenuto sanabile, per raggiungimento dello scopo, sia le notiche nulle sia quelle inesistenti.
E la stessa regola si è applicata alla notifica degli atti amministrativi.
Tuttavia, quest’ultima interpretazione,  è in linea con quanto stabilito dal legislatore con la recente riforma fiscale, ed in particolare, con le modifiche apportate,  dal decreto delegato n. 2019 del 2023, allo Statuto dei diritti del contribuente.
Invero l’art.1 del suddetto decreto ha espressamente sancito che la notifica irregolare degli atti tributari è sanabile, per raggiungimento dello scopo, se il contribuente propone ricorso.
Invece non è mai sanabile la notifica inesistente,  vale a dire quella che viene fatta al di fuori dello schema legale e che è pertanto affetta da una gravissima irregolarità.  Ciò alla luce dell’art. 7 sexies, aggiunto alla Statuto,  che disciplina i vizi di notifica degli atti fiscali.
                        Avv. Salvatore Torchia

Cassazione, Ordinanza n. 19151/2024: “le osservazioni difensive, presentate dal contribuente ad un avviso di accertamento emesso prima del trascorrere dei 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione, non sanano la nullità dello stesso” 

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19151 del giorno 11 luglio 2024, ha stabilito che le osservazioni difensive, presentate dal contribuente ad un avviso di accertamento emesso ” ante tempus”,  cioè prima del trascorrere dei 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione, non sanano la nullità dello stesso per mancato rispetto di tale termine.
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L’ inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni, decorrenti dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di constatazione,  determina di per sé l’illegittimità dell’atto impositivo emesso prima della scadenza del termine.
Tranne il caso che ricorrano specifiche ragioni d’urgenza che l’ufficio è tenuto a provare e che debbono sussistere al momento dell’emissione dell’atto.
Orbene, la Cassazione ha ritenuto che le eventuali osservazioni avanzate dal contribuente sono irrilevanti e non sanano la violazione del contraddittorio e la  lesione del diritto di difesa. Di conseguenza l’avviso di accertamento, emesso in violazione del termine, resta illegittimo.
                    Avv. Salvatore Torchia

Cass. Civ. Ordinanza n. 16879/2024: “la mancata menzione del contributo unificato, sulla liquidazione delle spese di lite, non è motivo di correzione della sentenza.” 

La Cassazione,  con l’ordinanza n. 16879 del 19 giugno 2024, ha ribadito che la mancata menzione del contributo unificato, sulla liquidazione delle spese di lite, non è motivo di correzione della sentenza.  Infatti questo contributo costituisce una obbligazione ex lege , gravante sulla parte soccombente, la cui restituzione è dovuta implicitamente, e senza necessità di correzione.
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La vertenza,  di cui alla superiore massima, concerne un errore materiale di cui la contribuente chiedeva la correzione.
Infatti,  nella sentenza emessa dalla C.T.R. della Lombardia, era stato disposto il pagamento delle spese vive di lite, quantificate in 200 euro, senza tuttavia aggiungere l’importo del contributo unificato corrisposto in sede di deposito del ricorso.
Il Supremo Collegio di Piazza Cavour ha rigettato l’istanza. Ha ricordato che, secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, il contributo unificato costituisce un’obbligazione “ex lege” di importo predeterminato,  gravante sulla parte soccombente per effetto della stessa condanna alle spese.
Con la conseguenza che il giudice non è tenuto a liquidare autonomamente il relativo ammontare.
                           Avv. Salvatore Torchia