La Cassazione, Sent. n. 31667 del 14.11.2023: “la superficie destinata a deposito e vendita, che sia funzionalmente collegata all’attività di produzione di rifiuti speciali, è  sempre assoggettata alla quota fissa della Tari.”

La Suprema Corte, con la Sentenza n. 31667 del 14.11.2023, ha confermato l’assoggettamento delle aree in cui si producono rifiuti speciali al pagamento della parte di tributo che si riferisce alla quota fissa. Pertanto l’esenzione della Tari spetterà per la parte variabile. Inoltre a condizione che il contribuente provi di aver diritto alla agevolazione perché smaltisce in proprio i rifiuti speciali.
Peraltro, la parte fissa è sempre dovuta sulla base del mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee  alla produzione di rifiuti.
Avv.Salvatore Torchia 

Governanti o gladiatori? La deriva di una classe politica sempre più lontana dalla realtà

Luigi RapisardaC’è un quadro politico generale nel paese che allarma sempre di più la società civile i corpi intermedi e il mondo dell’imprenditoria.

Ed è evidente soprattutto nel crescente clima da resa dei conti – come si fosse già in piena campagna elettorale – con tanto di duelli verbali, ora con rappresentanti delle opposizioni, ora con organismi sindacali, ora con singoli cittadini, senza alcun risparmio dei colpi bassi, nel palese obiettivo di mettere all’angolo ogni avversario politico.

La misura è tale che il groviglio che si è creato sul terreno politico-istituzionale nella miriade di attacchi accesi, e talora livorosi contro chiunque esprima giudizi critici e oppositivi che sta caratterizzando le performance mediatiche, e negli interventi in entrambe le camere, lo stile di Giorgia Meloni, come fosse in una permanente disfida tra gladiatori, in difesa ora  della manovra finanziaria, ora dei propositi sempre più destabilizzanti della figura e delle prerogative del Capo dello Stato, e un consistente indebolimento della rappresentanza parlamentare, dopo l’esplicito intervento del presidente del Senato Ignazio La Russa, circa i reali obiettivi del disegno di riforma costituzionale sul cosiddetto premierato, rende inestricabile e fosco lo scenario politico, mentre le famiglie sono costrette a tirare sempre più la cinghia per far quadrare i conti a casa e la popolazione fluisce inarrestabilmente verso percentuali di denatalità, che sembrano oramai inconvertibili.

A dire il vero non solo questi sono stati gli argomenti di conflitto rovente.

Solo per completezza non possiamo trascurare il gran battage propagandistico e la grande eco sulla tv di stato ( divenuta a reti unificate Tele Meloni) sugli accordi scoop con l’Albania in materia di immigrazione, bocciati sonoramente dalla Corte Costituzionale di quel paese; i frequenti annunci su una radicale riforma della giustizia, ove a tirar la polemica è persino il ministro della difesa Crosetto, con il pretesto di una parte della magistratura che trama contro gli altri poteri; i tentativi di giubilarsi e le antologie apologetiche che si leggono nei media interni. come primaria protagonista nel consesso dell’Unione europea a fronte di magri risultati, mentre Germania e Francia, con l’intesa di ieri sul Patto di stabilità, rinverdiscono l’asse privilegiato che li ha visti protagonisti nei tanti anni di vita istituzionale dell’Europa.

E, come se la misura non fosse colma, si è finito con l’altalenante diatriba sul Mes, ove quasi come a cercare un solido alibi, per una prossima possibile firma, non si sono risparmiati atti di odiosi j’accuse, sventolati come coupe de theatre, con tanto di ricorso  al giurì d’onore della Camera dei deputati, da parte di Giuseppe Conte.

Manco a farlo apposta in un clima così rovente, da permanente botta e risposta, mentre però il governo continua ad andare per la sua strada, senza trovare nel merito dei provvedimenti, spesso usati per lanciare chiari segnali identitari e, come si dice, marcare il territorio, e non si vede alcuna forma di opposizione efficace, oltre le vampate mediatiche che durano il tempo di qualche giorno, il CENSIS ci descrive come sonnambuli in un paese dove sempre meno si ha la consapevolezza di quello che si sta effettivamente facendo.

In questo scenario, sempre più scomposto, ove si è aggiunto, in questi giorni, come ulteriore strumento  propagandistico, la festa di Atreju, in versioni autocelebrative, con tanto di megafono Rai, a riportarci una narrazione unidimensionale e gli immancabili franchisti come Santiago Abascal,  la coalizione di governo sembra aver perso l’aderenza ai fondamentali, ossia a quella corrispondenza minima tra condizioni del paese e azione politica di governo, i cui obiettivi nella maggior parte delle volte appaiono più mirati a sostenere la propaganda di partito che di andare incontro ai problemi della gran parte della classe media e operaia.

Ma la disfida non ha come protagonista solamente la nostra premier.

Tiene banco in questi giorni  nel campo del centrosinistra  la proposta di Romano Prodi che indicando senza tentennamenti in Elly Schlein la più adatta tra i possibili federatori del centrosinistra si fa spin doctor della segretaria del Pd, tanto da far dire ieri a Giuseppe Conte che le alternative di costruiscono sui contenuti e non attorno alle persone.

Pur tra le incommensurabili differenze che ci dividono dai 5 Stelle, ritengo assai condivisibile la risposta che ieri Giuseppe Conte, che per un attimo ha risposto in perfetto stile democristiano, ha indirizzato al prof. R. Prodi e al Pd, anche se di intravede tutta la strumentalità di tale affermazione inquadrata nel braccio di ferro che da tempo egli sta tenendo sul tema della leadership del cosiddetto campo largo, concepito principalmente come ipotesi di alleanza tra Pd e 5 Stelle.

In quella risposta piccata, con cui l’ex premier 5 Stelle ammonisce con determinazione che un’ alternativa si può costruire credibilmente solo partendo da contenuti, temi e programmi e non dagli uomini che ne devono guidare le attività politiche, c’è tutto il senso di una idea di politica che non si lambicca in laboratorio nel tentativo di identificare un modello di persona attorno a cui costruire un partito o una coalizione, ma che deve partire dagli ideali, da valori e contenuti per elaborare un progetto di paese e di convivenza civile e politica.

Al contempo non possiamo trascurare gli enigmatici passaggi che si colgono in filigrana in quell’intervista all’ex presidente del consiglio, ideatore della stagione dell’Ulivo,

Non si capisce infatti in base a quale logica politica egli intraveda nella segretaria del Pd, la più plausibile tra le diverse ipotesi di possibile federatore del centrosinistra, senza pesare nel giusto conto, anzi ignorando, stranamente, le ragioni del dichiarato disimpegno dei tanti popolari che hanno preso il largo, cercando altri lidi, in risposta ad una segreteria che ha nettamente spostato l’asse del partito su posizioni massimaliste e radicali, come riconosciuto da autorevoli commentatori.

In quell’intervista si ricavano anche altre cose.

Non sono infatti pochi i segnali che frantumano l’annosa attesa di un possibile approdo ad una nuova stagione del proporzionale.

L’idea messa in campo sembra rafforzare il modello bipolare maggioritario, di cui se ne fece artefice Veltroni, basato sugli accordi preventivi sui programmi e sulla leadership apparendo lo strumento più efficace per aggregare una seria proposta alternativa al predominio delle destre.

Indubbiamente non poco peso avrà avuto per il prof. Prodi, nella proposizione di tale modello, la performance ingloriosa che ha mostrato l’esperimento centrista del Terzo polo, deflagrato nel giro di pochi mesi.

Eppure c’è ancora una parte dei popolari che guarda a quell’esperimento, in una riproposizione più allargata all’area cattolica, azionista e riformista.

L’idea guida è che da quel crogiolo di forze politiche possa emergere un federatore, guardando con particolare interesse a Renzi e Calenda.

Se ne coglie lo spirito nel documento varato, la settimana scorsa dal Comitato direttivo di Tempi Nuovi, di cui è coordinatore l’on.Giuseppe Fioroni.

Espressione di un pregevole momento di confronto all’interno di un processo di costruzione della ricomposizione dei cattolici in politica e di una solida area pluralista di centro, in esso si traggono tanti spunti e tante risposte sul come articolarsi sulle diverse questioni poste sul tappeto.

Così si alternano chiusure nette ad aperture incoraggianti.

Di certo non si intravede un grande spazio politico all’idea di una aggregazione attorno alla proposta della DC, espressa anche nel mio articolo su questo stesso giornale dell’8 dicembre scorso, di fare una lista comune denominata “Liberi e Forti” di ispirazione popolare per le prossime elezioni europee, quando si afferma:”..ma neppure accettiamo un’aggregazione transitoria, di pura convenienza, solo per mettere a segno un qualche risultato elettorale (ammesso che sia positivo)..”.

Vien da chiedersi, allo stato delle cose,quali sondaggi nascosti stiano alimentando tra questi amici aspettative così ambiziose.

Tuttavia questo primo giudizio poco sembra raccordarsi con il passaggio successivo:   “..L’entusiasmo si genera se proviamo a dare forma e sostanza a un’idea di “umanesimo democratico”: contro le deformazioni o lo svuotamento della democrazia..”, ove si da  l’impressione che si possa trovare uno spiraglio di confronto positivo per un progetto di comune azione politica.

E vien da chiedersi, in questo caparbio rimarcare allusivamente il coinvolgimento di un più ampio elettorato centrista – sicuramente con il pensiero alle forze azioniste e cattolico-democratiche di Azione e di Italia Viva, che peraltro hanno dimostrato netta incompatibilità a stare insieme – come si fa a proporre una lista unica in presenza di adesioni diversificate alle famiglie politiche europee( Ppe,Pse,Pde, Renew Europe)?

Va da se pertanto che un’occasione di incontro servirebbe anche a far chiarezza su queste incoerenze.

Molto più pregnante e condivisibile  mi pare, invece, l’idea di centro come delineato nel documento.

“..Il centro a cui siamo interessati non vive nell’ossessione dell’equidistanza e della moderazione, sebbene vi sia della verità in queste parole della politica; ma vive soprattutto nel dinamismo di riforme che servano ad allontanare l’Italia dalle false aspettative..”.

Mi pare il giusto manifesto per sostenere ad ampio raggio una comune azione che non può in primo luogo disperdere ma deve saper trovare la forza di aggregare una realtà ancora assai frantumata.

Basta guardare alle sfide del momento sia al nostro interno, che sul versante geopolitico, dove proseguono senza sosta due guerre cruente, in confronto alle quali si assiste ad una crescente e preoccupante assuefazione di buona parte dell’opinione pubblica, e altri conflitti latenti, pronti ad esplodere, perché non si  possa avvertire come un dovere morale verso quella parte di elettorato che ancora oggi disorientato si attende un nuovo protagonismo politico da quella fucina di valori e di ideali che furono la linfa vitale del protagonismo dei cattolici, il superamento di talune specificità identitarie che oggi non ha più senso rappresentare isolatamente e separatamente, in un quadro di ricomposizione nell’ampia matrice culturale e di valori che fu la scuola politica democristiana.

Così diviene quasi anacronistico alimentare ancora quelle che oggi appaiono come pretestuose ragioni di divisione al cospetto di un quadro di orizzonti comuni che trovano soprattutto nella promozione della convivenza pacifica come condizione primaria per la tutela della vita e la fiducia nel futuro, e nella indifferibile difesa della Costituzione, e del suo sapiente impianto soprattutto con riferimento al giusto mantenimento dell’equilibrio dei poteri, dagli attacchi apertamente demolitori da parte di una cultura di destra che sembra voglia riscrivere la storia recente, nella difesa del lavoro come fonte insostituibile di mantenimento e di miglioramento della esistenza di ciascuno,che attende politiche capaci di rendere la produzione e la redistribuzione della ricchezza compatibile con le nuove tecnologie e al contempo suscettibile di dare una concreta soluzione all’accumularsi di una questione sociale che tocca sempre più continenti, una prima incoraggiante affinità.

È, in altre parole, una sfida per il paese e per un nuovo modello di convivenza tra popoli cui non possiamo sottrarci.

C’è in essa tutta la tensione di un’epoca che volge tumultuosamente verso trasformazioni impensabili fino a pochi decenni fa.

Questo scenario reclama politiche di sapiente gradualità dei processi di sviluppo e di attuazioni dei programmi di riduzione delle diverse fonti di inquinamento e delle nuove tecnologie di passaggio alle nuove fonti energetiche improntate ad un modello globale di Umanesimo integrale, mentre la transizione geopolitica deve credibilmente ispirarsi a confronti permanenti su tavoli di mediazione multilaterale, a cominciare da un’Europa più protesa  su politiche ed ordinamenti comuni sui temi cruciali della convivenza civile e politica.

In altre parole dobbiamo recuperare l’idea precipua del “bene comune”.

La DC nell’idea di una lista unitaria Liberi e Forti e una inequivoca affiliazione al Ppe, è pronta a confrontarsi subito se davvero si è nell’idea di voler ripartire con obiettivi comuni e per un Europa federale, più equa e solidale.

20.12.2023

Luigi Rapisarda

 

Cassazione Civ. Sentenza n. 32475 del 22 novembre 2023: “se il pilastro svolge una funzione di sostegno dell’intero edificio condominiale, e non soltanto di uno dei caseggiati di cui lo stesso si compone,  non si rientra nell’ipotesi del condominio parziale di cui al terzo comma dell’art. 1123 c.c.” 

La Cassazione, con sentenza n. 32475 del 22 novembre 2023, ha chiarito che se il pilastro svolge una funzione di sostegno dell’intero edificio condominiale, e non soltanto di uno dei caseggiati di cui lo stesso si compone,  non si rientra nell’ipotesi del condominio parziale di cui al terzo comma dell’art. 1123 c.c.
Questo è applicabile autonomamente tutte le volte in cui un bene risulti,  per le sue oggettive caratteristiche strutturali, destinato al servizio o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto del complesso condominiale.
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Com’è noto si può parlare di condominio parziale tutte le volte in cui un bene risulti, per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato  al servizio e godimento in modo esclusivo di un condomino o di un gruppo ristretto di condomini.
In tal caso non è assolutamente possibile affermare che quel bene appartiene a tutti i condomini.  All’uopo si può fare riferimento a quei casi, molto ricorrenti nella pratica, di edifici che, pur essendo composti da un unico corpo di fabbrica,  hanno più portoni, più scale, più ascensori ecc.
È chiaro infatti che un atrio, un pianerottolo, un ballatoio che servono soltanto l’ingresso di due condomini, si intenderanno comuni solo a questi. Così un lastrico solare, che copre soltanto una parte dell’edificio, si presenta comune solo ai proprietari degli appartamenti e botteghe sottostanti.
Ne consegue che il proprietario di un appartamento non servito da un portone d’ingresso, da una scala o da un ascensore o non coperto da un tetto,non ha oggettivo interesse l’utilità offerta da essi e quindi ad essere considerato titolare.
Di conseguenza, in caso di spese da affrontare, vi sarà una maggioranza limitata ai soli condomini della parte di edificio alla quale si riferisce il bene.
Nel caso invece di un pilastro, che risulti essere di sostegno utile all’intero complesso condominiale e non soltanto ad una parte dell’edificio di cui lo stesso si compone, non è affatto prospettabile l’ipotesi di un condominio parziale, trattandosi di parte comune ai sensi dell’art. 1117 n. 1 c.c.
   Avv.Salvatore Torchia 

Cassazione, Ordinanza n. 31260 del 9 novembre 2023: “costituisce principio generale dell’ordinamento tributario, valido per qualsiasi provvedimento sanzionatorio,  quello che stabilisce la prescrizione quinquennale per le sanzioni in caso di notifica di una cartella non fondata su sentenza passata in giudicato.”

La Suprema Corte con l’Ordinanza  n. 31260 del 9 novembre 2023 ha ricordato che, in caso di notifica di cartella esattoriale, non fondata su una sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria relativa alle sanzioni, è quello quinquennale. Così come previsto dall’art. 20 comma 3 del dlg n.472 del 1997. Il termine decennale, invece, riguarda esclusivamente i crediti per sanzioni  per  la violazione di norme tributarie derivanti da sentenza passata in giudicato,  applicandosi allora l’art. 2953 c.c. che disciplina specificatamente e in via generale la cosiddetta “astio iudicati”.
L’iIlecito tributario, avente carattere speciale, giustifica l’applicazione prescrizionale di diritto speciale suddetta.
Ha aggiunto che la generalizzata durata quinquennale obbedisce anche ad esigenze di certezza e di tutela del contribuente, in ordine ai tempi di irrogazione della sanzione stessa e vale per qualunque provvedimento sanzionatorio, contestuale all’atto impositivo e non.
Avv. Salvatore Torchia 

Una babele di liste per l’Europa non aiuta la ricomposizione del centro attorno alla DC.

Luigi RapisardaDiviene sempre più interessante, su questo valoroso giornale, il dipanarsi del dibattito che da tempo, con pregiate analisi dei contesti culturali e politici cerca di cogliere la migliore via per una ricomposizione dell’area democristiana e popolare, per riproporre nel sistema politiche di centro

E con interventi di alto spessore si riaffaccia, con periodiche considerazioni, lo storico interrogativo: che fare?

O meglio, come organizzare nel miglior modo e nel più breve tempo possibile il ricompattamento dei diversi filoni culturali e ideali che furono l’espressione più feconda della Democrazia Cristiana.

In realtà, non da ora, c’è un lavorio attorno a quella che può essere l’espressione politica di una idea di centro: teatro da anni di un singolare paradosso che in questi anni non ha non ha ammaliato soltanto cattolici e popolari: sempre più ambito e sempre più vuoto

Oggi i tumultuosi cambiamenti identitari che hanno investito le forze politiche ci rendono sempre più datata l’idea e la rappresentazione del centro come lo spazio di una prassi politica consegnata alla storia, di cui ne fu protagonista la DC di De Gasperi.

In realtà quella connotazione non è mai stata di per sé sufficiente a renderci la vera idea di centro immaginata da don Luigi Sturzo.

In un suo famoso articolo risalente al 1923 ce ne da la precisa cognizione:

“ Spieghiamo allora cosa intendiamo per centrismo. Per noi il centrismo è lo stesso che popolarismo, in quanto il nostro programma è un programma temperato e non estremo: – siamo democratici, ma escludiamo le esagerazioni dei demagoghi; – vogliamo la libertà, ma non cediamo alla tentazione di volere la licenza; – ammettiamo l’autorità statale, ma neghiamo la dittatura, anche in nome della nazione; – rispettiamo la proprietà privata, ma ne proclamiamo la funzione sociale; – vogliamo rispettati e sviluppati i fattori di vita nazionale, ma neghiamo l’imperialismo nazionalista; e così via, dal primo all’ultimo punto dei nostro programma ogni affermazione non è mai assoluta ma relativa, non è per sé stante ma condizionata, non arriva agli estremi ma tiene la via del centro.”.

Qui si condensa tutto il senso di una teoria politica intrisa di vocazioni valoriali forti in grado di renderci tutta la realtà dialettica che si agitava dentro l’azione politica e l’orizzonte del partito popolare che Egli aveva fondato( e fatto poi proprio dalla DC che assieme a De Gasperi contribuì a far nascere) che mette coraggiosamente argine ad ogni sorta di polarizzazioni, vuoi nelle diverse versioni del populismo e del nazionalismo, di cui la dittatura in quel tempo se ne faceva interprete, vuoi nelle versioni del liberismo sfrenato o di una sinistra liberticida.

Una concezione che non ha perso nulla della sua attualità storica e politica.

Questo scenario ci evidenzia  tutte le ragioni di quanto possa essere poco praticabile  oggi l’idea di una “Costituente di centro”, come l’esimio sen.Tarolli ha affacciato, su questo giornale, sia nella forma di rassemblement, che come espressione federativa.

Una strana idea di centro il ritrovarsi dentro un contenitore senza storia, magari rappresentato da una costellazione di simboli, con un mix di forze e associazioni, cattoliche, liberali e riformiste, davanti a partiti che agitano le piazze, e con tutte le conflittualità e i colpi bassi che si possono immaginare nella quotidiana competizione tra gli esponenti – taluni a capo di partiti personali – che non facilita di certo il risultato perché espone l’iniziativa ad un ibrido identitario, con facile gioco per le fazioni organizzate, sicuramente non sussumibili alle storiche correnti che furono la linfa vitale di ogni scelta politica durante la cinquantennale esperienza.

L’immaginare poi, come qualcuno ancora si ostini a prefigurare, un simile contenitore come una sorta di nuova “Margherita”, ci sembra una autentica boutade.

Non basterebbe la fantasia di Pirandello per pensare di fare stare insieme nello stesso organismo politico federato, Grassi, Cuffaro,Tarolli, Zamagni, Infante, Renzi, Calenda, Mastella, Rotondi, Lupi, Toti, Brugnaro e tanti altri emeriti cespugli, ossia esponenti di matrice liberale, socialista, azionista, cattolico-democratici e radicali, senza creare una babele di dichiarazioni e di presenze mediatiche intorno a progetti e proposte, magari in contraddizione l’uno con l’altro..

C’è invece un dato che mi fa ben sperare che ricavo dai recenti interventi.

Ossia  un filo comune nuovo che comincia a rendere credibili alcuni passaggi chiave

Sicuramente non sarà stato estraneo l’effetto negativo che ha avuto il fulmineo flop che ha fatto registrare l’esperimento del Terzo polo, eroso in pochi mesi da una conflittualità tra i due leader, dimostrando in modo evidente  come non si costruisce un partito attraverso l’idea di una fusione a freddo, pensato più sulla sommatoria di due piattaforme politiche, poco sovrapponibili – come la fase successiva allo scioglimento ha dimostrato – che su una condivisa convergenza sugli obiettivi di fondo e su programmi compatibili.

Insomma una chiara prova che l’avventura delle aggregazioni ibride e dei partiti personali non appare la strada migliore.

Mentre comincia ad affacciarsi la consapevolezza che non può oggi essere eluso, da ciascuna forza politica o associazione di area, il guardare con attenzione allo sforzo organizzativo e politico, nella continuità progettuale di idee e valori che sta portando avanti la rinata DC,”nuova”, oggi unica, in confronto alle tante emulazioni, a potersi titolare nel segno della continuità storica, avendo ridato, conformemente a statuto, corpo e vita ad un partito mai sciolto.

Questo a mio avviso è il discrimine da cui passa ogni idea di ricomponimento o di riunificazione.

È in questo scenario che si iscrive l’analisi di ieri di G.Merlo su questo giornale, laddove nel porre a disamina le diverse opzioni politiche che può imboccare un simile processo aggregativo, così scrive a proposito del ritorno in campo della DC:

“..c’è chi continua ad insistere sul cosiddetto “partito identitario”. Potremo dire che si tratta della scelta più congeniale e forse anche la migliore. Peccato che nella politica occorre sempre tenere presente, come ci insegnava Sandro Fontana, “del testo e del contesto”. E cioè, conta sì il progetto ma, soprattutto, quella proposta è politicamente credibile se il contesto che la accoglie è favorevole e contemporanea rispetto a ciò che si propone. Ci sarà una motivazione se dopo la fine della Dc e, soprattutto, del Ppi di Franco Marini e di Gerardo Bianco tutti i tentativi identitari – credo alcune centinaia a livello nazionale – sono andati a sbattere. Insignificanti a livello politico ed irrilevanti a livello elettorale.”.

Se da una parte ne riconosce come la scelta migliore sul piano dei diversi orizzonti che può prefiggersi la riaggregazione dell’area cattolica e popolare, non appare verosimile invece l’ultima parte delle sue osservazioni in quanto viziata da evidente travisamento dei mirabili risultati elettorali che, mi pare, all’amico Merlo, siano sfuggiti.

Alludo al fatto, che non possono qualificarsi come “insignificanti a livello politico e irrilevanti a livello elettorale, risultati di tutto rilievo, ottenuti in Sicilia, con cui sono stai eletti quattro deputati all’Assemblea regionale siciliana, e con nella giunta due assessori; cinque consiglieri al Comune di Palermo e tantissimi consiglieri comunali in svariati Comuni di quella Regione.

Stiamo parlando della rinata DC, mediaticamente definita “Nuova”, che è cresciuta esponenzialmente nelle iscrizioni e nei consensi, man mano che in questi due anni si sono succedute le diverse tornate elettorali amministrative.

Tanto che il partito appare pronto ad affrontare autonomamente anche le competizioni a livello nazionale, a cominciare dalla prossima scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo.

Insomma c’è già un territorio e un elettorato che si è sentito rappresentare da questa nuova realtà di partito, e pretendere, come ha messo in chiaro, il Sen.Tarolli :”..un Tavolo Paritario, dove ciascun Soggetto possa portare il suo “specifico”, dove si possa dialogare, confrontarsi e quindi decidere..”, vuol dire per la nuova DC, prendere in giro il suo elettorato e mandare alle ortiche le attese e le speranze di tanti italiani che si sono ritrovati, intanto nelle diverse competizioni locali, nei programmi e nei progetti di territorio messi in campo, assieme ad una nuova classe dirigente.

Di certo anche questa proposta non appare il miglior metodo per ricomporre la frantumazione politica dell’area dei cristiani e dei popolari Ed è evidente il perché della poca praticabilità che suscita simile soluzione.

In un quadro di riunificazione come di può trascurare il peso politico che ciascuna forza porta? Soprattutto se consideriamo che c’è già un proficuo percorso in atto con tanto di rappresentanze nelle istituzioni.

Così si finirebbe per inaridire la spinta ad un serio processo di ricomposizione.

Ma il cammino appare ancora lungo ed impervio anche perché il quadro che ne stanno offrendo i popolari, in questi giorni, è ancora assai antitetico.

Da una parte si da l’impressione che si continui a perseguire trattative negoziali per assicurare sopravvivenza alla piccola enclave di popolari dentro il Pd( facenti capo a Del Rio e Castagnetti)nella convinzione che possano ancora avere un ruolo politico nel partito massimalista e radicale di massa di Elly Schlein: torniamo  ai tempi dei cosiddetti indipendenti di sinistra?

Dall’altra l’incomprensibile rimarcato proposito dell’on.Fioroni, e della sua associazione Tempi Nuovi, alla ricerca di un leader, con gli appelli a Renzi e Calenda, per proporsi alle prossime elezioni Europee, in quadro di rinascita del Terzo polo, e con l’adesione al PdE, di cui è espressione significativa in questo momento il partito di Macron, Renew Europe: cosa che si pone come un grosso ostacolo verso il comune obiettivo della ricomposizione dell’area popolare e cristiana che notoriamente ha come punto di riferimento il Ppe.

Così che quegli stessi popolari che hanno primariamente propiziato l’idea di fare liste comuni con le forze centriste, attanagliati in una babele di contraddizioni sembrano vagare disorientati dentro un labirinto senza uscita.

L’impressione è che pregiudizialmente tra i popolari prevalga l’idea di tenere lontana l’ipotesi di una ricomposizione concreta, perché ciò comporterebbe un aperto confronto con la rinata DC di Renato Grassi ed oggi rappresentata dal segretario Cuffaro.

È forse prevalente l’idea di ritenersi custodi di un pensiero da non contaminare?

Finché i popolari resteranno indifferenti davanti ad una realtà politica che sta ridando linfa a quella DC, mai sciolta, e da cui ripartire, difficilmente si potrà parlare di riunificazione o di ricomposizione della galassia democristiana.

Tuttavia, non apparendo un processo di poco tempo, mi pare assai convincente l’idea lanciata dal segretario Cuffaro di proporre una lista “Liberi e Forti” con unico simbolo per le europee e con dichiarata affiliazione al Ppe, aperta a chi si riconosce in quel manifesto ed in tutta la storia che esso ha rappresentato fino ad oggi.

Penso sia lo strumento più efficace per offrire al territorio un progetto politico che non intende ignorare le inadeguatezze delle attuali politiche comunitarie soverchiate dalle egemonie finanziarie mentre scarsamente versate in direzione del benessere essenziale di ogni persona.

7.12.2023

Luigi Rapisarda