Uno degli aspetti preminenti e fortemente positivi della normativa sull’affido condiviso è l’obbligo per il giudice di disporre, in vista dell’emanazione dei provvedimenti riguardo alla prole, l’audizione del figlio che abbia raggiunto i dodici anni o anche di età inferiore, qualora capace di discernimento. Concetto di discernimento che, all’avviso di chi scrive, va rapportato alla capacità di pensiero logico-deduttivo e al senso della realtà, che, a parere degli esperti delle materie psicologiche, vengono raggiunti dal bambino normodotato verso i sei/sette anni. La previsione, già concretizzatasi nell’art. 155-sexies c.c. (inserito con legge n. 54/2006 e abrogato con d.lgs n. 154/2013) ed oggi negli artt. 336-bis e 337-octies c.c., nonché nell’art. 315 bis c.c, non è di poco conto, ma è necessario che venga effettivamente applicata. Sotto la previgente normativa, infatti, il minore non aveva voce e i provvedimenti nel suo interesse venivano adottati senza che si sapesse quali fossero i suoi desideri, la sua volontà, le sue aspirazioni e così via. La voce del minore poteva essere ascoltata solo qualora il giudice lo avesse ritenuto opportuno (Cass. 16-7-2001, n. 9632). La mancata audizione del minore, per pacifica dottrina, era in contrasto con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino (New York, 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con la l. 27 maggio 1991, n. 176) e con la convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (Strasburgo, 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con la l. 20 marzo 2003, n. 77). Il legislatore, con la predetta legge n. 54 del 2006, ha posto rimedio ad una grave omissione, e cioè alla non prevista audizione, che mortificava i diritti fondamentali del figlio minore, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, che, sul punto, non fa differenziazioni tra uomo maggiorenne e uomo minorenne. Tuttavia, nella prassi perlopiù non è stato e non è rispettato il diritto fondamentale del minore ad essere ascoltato. La legislazione nazionale, infatti, nel passato ha dettato poche norme sulla tutela di tale diritto (l’art. 4 della legge n. 898/’70, per esempio, ha previsto che nelle cause di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il presidente emetta i provvedimenti temporanei dopo avere sentito, «qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori»; l’art. 4 della L. 04-05-1983, n. 184, così come sostituito dalla legge n. 149/2001, stabilisce che «L’affidamento familiare è disposto [….] sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento»), ma, dalla ricerca giurisprudenziale, emerge una tendenza a sottovalutare la volontà e il desiderio di ascolto del figlio; mentre si nota l’enfatizzazione della tutela, sotto altri aspetti, del minore, visto come un essere debole, piuttosto che come un essere portatore di proprie capacità, di proprie inclinazioni naturali e di proprie aspirazioni. In verità, già a distanza di 14 anni dalla entrata in vigore della legge n. 54 del 2006 sull’affido condiviso, si fa avanti l’opinione che l’audizione non sia sempre obbligatoria, potendo essere esclusa qualora sia di pregiudizio al minore e, stando a quanto stabilito dal Tribunale di Milano (decreto 25-3-2015), non è necessaria nel caso in cui, in sede di separazione personale, si sono contemplate modalità di ampia e facile frequentazione tra prole e padre o madre; ciò in contrasto con quanto precedentemente insegnato dal giudice della legittimità con sentenza n. 11687/2013 (poi ribadito con sentenze n. 15143/2014 e n. 19327/2015), che ha ribadito, invece, la necessarietà in ogni caso dell’ascolto del minore nelle procedure che riguardavano lo stesso, anche qualora fosse già stato sentito in altra sede (per esempio da assistenti sociali). Si sono firmati protocolli, presso alcuni distretti giudiziari, onde disciplinare le modalità di ascolto. Cosicché, per esempio, i protocolli di Milano e di Roma propendono per una audizione diretta da parte del giudice, magari con l’ausilio di un esperto, mentre altri propendono per una audizione indiretta, delegata, cioè, ad esperti di psicologia dell’età evolutiva. L’obbligatorietà dell’audizione del minore, de visu e de auditu (quindi non delegata), tuttavia, è stata ribadita dal Supremo Collegio con ordinanza n. 28521 del 6-11-2019 (“In tema di azioni di status, l’ascolto del minore è certamente necessario, anche se espressivo di una volontà non vincolante per il giudicante, nell’ambito del percorso decisionale che il giudice del merito è tenuto a sviluppare per attuare il doveroso bilanciamento tra favor veritatis e favor minoris, onde la sua omissione per i rilevanti effetti che possono derivarne non solo sul piano procedimentale, ma anche sul piano sostanziale, non può trovare giustificazione né nel “dubbio” circa la capacità di discernimento del minore, né su ragioni di mera opportunità, come avvenuto nel caso in esame. Per temperare l’obbligatorietà dell’adempimento, non è invocabile il mero dubbio circa la capacità di discernimento, assertivamente collegato ad un ritardo nello sviluppo del linguaggio, poiché questo non è sufficiente ad escludere l’ascolto ex art. 315 bis c.c., giustificabile solo per l’assenza di capacità di discernimento”).
E chi scrive ritiene che sia indispensabile ascoltare il minore in un ambiente sereno ed accogliente, il più rassicurante possibile, e cioè in un ambiente che sia tutt’altro che una arida e fredda aula di tribunale, così come avviene, quando avviene, oggi. Altro punto controverso è quello relativo alla presenza o meno dei difensori dei coniugi. Anche su questo punto sono state assunte differenziate posizioni, che vanno dalla ammissibilità di una presenza “attiva” a quella di una “silenziosa”. La questione è tutt’altro che accademica, perché attiene soprattutto all’attendibilità di quanto riferito dal minore, che non deve essere influenzato o manipolato (per esempio con domande suggestive o che facciano sorgere falsi ricordi), che deve dimostrare di distinguere la realtà dalla fantasia e di avere adeguate capacità narrative e linguistiche. D’altra parte, chi procede all’audizione deve garantire la sua posizione di terzietà rispetto a tutte le parti interessate. L’ascolto, infatti, è finalizzato non solo ad acquisire l’opinione del minore, ma anche ad acquisire informazioni che possano aiutare nella emanazione di tutti quei provvedimenti da adottare nel suo interesse, ivi compreso il suo armonioso sviluppo psichico.
Nando Gambino