“Alea iacta est”.
Con questa frase lapidaria, che ci riporta Svetonio, Giulio Cesare, nel ‘49 a.c., al rientro dalla Gallia, decise di oltrepassare il Rubicone, a quell’epoca punto di confine con il territorio romano, che nessun condottiero della Repubblica poteva varcare in armi senza l’autorizzazione del Senato.
Un atto di coraggio e di sfida che Cesare ritenne di fare per il bene del popolo e che, oggi come allora, salverebbe il paese da una contrapposizione sociale e politica sempre più gravida di tensione,ma soprattutto da una reiterata inconcludenza delle misure adottate per fronteggiare la pandemia, dal caos e dallo scontro istituzionale, governo-regioni e da un futuro sempre più incerto ed inquietante che sta piegando il paese, nonostante i pesanti sacrifici in termini di libertà e di capacità economica cui è stato sottoposto.
In definitiva per recuperare e dare la giusta spinta propulsiva e far rinascere quella fiducia, con corposi aiuti economici, che il sistema produttivo si aspetta nella fase della ripartenza, con un progetto di ricostruzione credibile e non improvvisato.
Un onere che in primo luogo dovrebbe avvertire Matteo Renzi, leader di Italia Viva.
Egli, poco più di un anno fa, ebbe la “brillante” idea di proporre questa ibrida coalizione di governo per evitare che il paese indicasse una diversa maggioranza, come era in tutti i sondaggi.
Ebbene oggi, quasi doverosamente, visto che tanta sensibilità non troviamo nel premier, che imperterrito continua a disorientare con i suoi sofismi e gli innumerevoli tavoli ed incontri dove alla fine non si giunge mai ad una vera univoca conclusione, tocca a lui fare questo passo per porre fine a questa fallimentare esperienza governativa che sta lacerando fortemente il tessuto economico, civile e sociale del paese.
Un gesto che, allora, cambiò la Storia perché avvio’ un processo politico che portò Roma ad essere faro di civiltà per secoli.
Ed ora come allora la situazione interna è in forte fermento, esposta al pericolo di forti tensioni sociali e politiche..
A differenza di quegli eventi qui non vediamo però nessun Giulio Cesare tornare vincitore da una spedizione militare (oggi è d’uopo dire diplomatica o politica).
Anzi vediamo un governo sempre più in affanno che sta portando il paese verso un baratro economico e sociale.
Ove non ci pare convincente, ancora una volta, la linea di eccessiva inadeguatezza che sta guidando il nuovo “decreto ristori”, le cui misure che si stanno approntando appaiono essere, in confronto a quanto erogato dai tanti nostri partner europei, semplicemente dei pannicelli caldi, non in grado di assicurare la tenuta del tessuto imprenditoriale e produttivo ed il sostegno di tante famiglie.
Mentre lascia attoniti leggere gli ennesimi comunicati che seguono ai periodici incontri delle forze di maggioranza, ove non basta il cambio di passo sul Mes anche da parte dei 5 Stelle che potrebbe alleviare il grande fabbisogno finanziario, per di più in un settore, la sanità, che sconta da decenni un depauperamento delle proprie strutture, per autoassolversi da tutte le incongruenze ed improntitudini inanellate fino ad ora.
Un segno evidente, qualora ce ne fosse bisogno, del solito trasformismo dei 5Stelle che, ogni volta che si ritrovano sul punto di perdere la poltrona, mutano linea e identità.
Ma c’è qualcosa di più che allarma.
È la situazione generale del paese, sfiancato da una baraonda totale tra i diversi decisori, governo e regioni, che son sembrati fare a gara per non assumersi nessuno, quando era necessario e le competenze lo permettevano, l’autonoma responsabilità di scelte che spesso già all’annuncio hanno sempre finito per scatenare conflitti e esasperazioni, anche per mancanza di comuni parametri nell’individuare una base comune di analisi dei dati, contestualizzata ai diversi territori.
C’è voluto quest’ultimo Dpcm di novembre, che sebbene tardivo, fa registrare il primo tentativo del governo di dare una base più scientifica e predefinita delle misure da adottare, quasi in automatico, non potendo più permetterci un lockdown totale ed indiscriminato che porterebbe dritto il paese alla bancarotta nazionale.
Una scala di criteri che serva a ridefinire sia al governo che ai presidenti di regione un più appropriato e uniforme metodo, onde evitare qualsivoglia arbitrio nelle decisioni dell’uno o degli altri, sulle misure da prendere ed allontanare il sospetto che il virus possa essere l’ulteriore pretesto per fare battaglia politica.
Ma stiamo ormai camminando su un crinale assai impervio e i risultati non ci sembrano incoraggianti.
Per questo i tanti appelli alla massima serietà e responsabilità, a cominciare dal Capo dello Stato, data l’interdipendenza inevitabile dei rapporti economici e sociali in tante parti del paese, dal nord al sud.
È in questo quadro è ovvio che la mossa falsa di uno solo di questi governanti potrebbe pregiudicare l’intera azione di contenimento pandemico e di tutte le misure collaterali nel Paese.
E lo stesso premier se ne è reso conto con il palese cambio di strategia.
Così dismettendo quell’atteggiamento di indifferenza che ha tanto nuociuto, perché ha impedito che tante idee e proposte dell’opposizione potessero, se prese seriamente in considerazione, contribuire alle più appropriate misure nell’arginare e prevenire i contatti, e non da ultimo anche per la paura di non poter più controllare la diffusione del virus, come sta emergendo ampiamente nella crescita esponenziale dei contagi, ora il premier invoca e si attende un dialogo costruttivo con le forze di opposizione.
Cosa fortemente auspicato dal Capo dello Stato, attento e severo osservatore delle dinamiche istituzionali.
Ma non è da escludere che siano stati i tanti diffusi movimenti di piazza, che hanno fatto temere un escalation della rabbia sociale di quanti hanno perso ogni fonte di sostentamento o scontano, con le insufficienze della macchina burocratica e i suoi ritardi, l’ulteriore angoscia e paura di non poter sfamare la propria famiglia o di chiudere definitivamente bottega, a portare la maggioranza di governo ad un convinto proposito di coinvolgimento delle forze di opposizione.
Un tentativo seppur legittimo, ma pur sempre, in questo quadro, insufficiente, perché, a giudizio di tanti, manca un mea culpa da parte del governo e delle forze di maggioranza che hanno portato il paese in una condizione di rischio quasi irreversibile per il nostro sistema economico, civile e sociale.
Non par dubbio infatti che, mentre a gran voce i tanti esperti e scienziati ne dibattevano l’attesa recrudescenza, ancora più virulenta, con l’arrivo della stagione autunnale, il governo ed i mille tavoli e comitati (di cui non sappiamo più che fine hanno fatto) deputati ad osservare e studiare l’andamento epidemiologico e i possibili scenari, non hanno saputo capitalizzare l’esperienza di marzo-aprile scorso, e meno che mai hanno saputo approfittare della lunga tregua estiva con cui si potevano approntare le tante misure minime che, secondo le previsioni degli addetti ai lavori, avrebbero potuto contenere la diffusione dei contagi.
Vien così tanto il sospetto che questo tentativo potesse servire soprattutto ad attendersi una fattiva mediazione nel placare gli animi delle tante fasce sociali esposte.
Insomma uno scenario ove cruciale pare essere, in questo andirivieni di appelli del governo e ripetuti niet dell’opposizione, la valutazione circa l’opportunità di continuare con un esecutivo che non è più in grado di assicurare credibilmente una efficace e rassicurante azione di contrasto alla diffusione dei contagi e soprattutto non riesce a proporre una linea credibile di ripresa economica e sociale.
Un governo che fa tutti i giorni fatica a dialogare credibilmente con le altre istituzioni rappresentative del territorio, già sul piede di guerra per delle catalogazioni, circa i livelli di restrizioni, che non risulterebbero coerenti con il quadro dei rispettivi andamenti e delle curve di diffusione dei contagi e della capienza delle strutture sanitarie.
Tanto che qualcuno ha persino adombrato che si stia, in modo sotterraneo, facendo della discriminazione politica tra regioni organiche alla maggioranza e regioni vicine all’opposizione. Come sembra suggerire la diversa collocazione nei livelli di rischio della Campania, che ha trovato nel suo governatore il primo a ritenersi sbigottito per tanta decisione, attendendosi qualcosa di più gravoso, e della Calabria ove si attendevano un livello di rischio più basso.
Insomma tutto appare poco comprensibile.
Certo, non va dimenticato l’atteggiamento di tanti governatori, la cui linea di condotta, nel contrasto alla diffusione del virus, ha fatto registrare dei mutamenti abbastanza repentini e talvolta poco comprensibili, con il paradossale risultato di pretendere di più quando il governo delineava misure più blande, salvo poi a protestare quando gli inasprimenti andavano a toccare la propria regione.
Insomma un braccio di ferro e un bailamme generale che in uno sconvolgente gioco di tutti contro tutti porta a una sorta di scarico delle responsabilità e di grande confusione istituzionale.
Con uno stop and go che sconcerta, per lo strano sistema delle porte girevoli, ove quando il governo tenta di veicolare una misura più blanda, c’è sempre un governatore che pretende un balzo in avanti, minacciando chiusure totali, se invece ci si ritrova negli alti livelli di restrizione, subito si è pronti alla levata di scudi e chiedere spiegazioni o pretendendo altrettanto per le altre regioni, contestando le tante incongruenze che tali decisioni si portano dietro.
Uno spettacolo indecoroso che ancora una volta, ed in misura ancora più incidente tanti governatori stanno offrendo, con la suddivisione dei livelli di restrizioni assegnati alle regioni con l’ultimo Dpcm di novembre.
Innescando l’ennesimo “linguaggio per metafore” del fantasioso governatore De Luca che si appresta ad inasprire le misure sulla scuola, allargando i casi di ricorso alla didattica a distanza, anzi chiudendola del tutto dalla primaria ai licei, cosa che peraltro aveva già tentato di mettere in atto, con immediata retrocessione di fronte alla diffusa protesta delle mamme.
E lo stesso governatore della Puglia, Emiliano, pur conformandosi al decreto del governo, ha rimodulato la sua ordinanza di chiusura delle scuole.
Per non parlare dei governatori Cirio e Fontana che stanno puntualmente contestando l’inclusione dei loro territori, Piemonte e Lombardia, nel lockdown totale, ritenendolo un eccesso di valutazione non corrispondente alla reale situazione epidemiologica ed alle capacità della risposta delle proprie strutture sanitarie.
E non solo!
Anche il governatore Musumeci si dice trasecolato, ritenendo che il governo ha commesso un errore di valutazione della situazione epidemiologica ascrivibile al territorio siciliano ben al di sotto della soglia di contagio di 1.5 e comunque rispetto agli indici di cui ai criteri generali che il governo ha messo in atto.
Davvero uno scenario sconcertante che disorienta e fa trasecolare i cittadini che subiscono gli effetti ancora più negativi di queste interminabili diatribe con cui il braccio di ferro tra governo e regioni continua senza sosta, rendendo evidente tutta la inconcludenza della Conferenza Stato-Regioni – terza Camera dello Stato, come qualcuno l’ha ribattezzata – e il fallimento dell’azione dell’esecutivo nella lotta al covid, tanto da rendere velleitario l’appello al coinvolgimento dell’opposizione per trovare una via comune.
Appello, ovviamente, caduto nel vuoto, che porta via tempo prezioso, mentre il punto focale che lo stato degli atti propone doverosamente è: quale credibilità può vantare questo governo per mettere in campo misure giuste e condivise?
Un interrogativo che non sembra essere stato nei reali pensieri dei leader della coalizione di maggioranza, stando alle dichiarazioni di ciascuno nel segno del solito ritornello: “Tutto va bene, madama la marchesa”.
Evidentemente segno di cecità politica o di attaccamento al potere oltre ogni misura.
E se tanto vero è che il livello di maturità di una democrazia si misura nei momenti più difficili della propria storia, dalla capacità di ciascuno, ed in questo caso, di ciascun partito, anche se avversario, di fare fronte unico contro drammatiche minacce alla vita ed al futuro della propria comunità, l’appello al coinvolgimento dell’opposizione nel venire in sostegno della maggioranza, sulle misure da adottare, non ci appare di certo la cosa più congrua, perché, creando una commistione di ruoli e false aspettative, dato che sarà sempre la maggioranza di governo a decidere, depotenzia inevitabilmente la normale dialettica parlamentare e rischia di rendere meno incisive le distinte responsabilità istituzionali,
Ragione che ci porta a non ritenere adeguata alla posta in gioco, ossia ad una prospettiva di ripartenza che si ancori ad una ripresa credibile del nostro paese, neanche la proposta di Giorgia Meloni, lanciata l’altro ieri, di un patto di unità nazionale per tutta la durata dell’emergenza sanitaria per individuare compiti e ruoli riservati ai diversi livelli di governo del territorio, con la garanzia di andare al voto, una volta chiusa la fase emergenziale.
Pur con tutta la valenza che tale proposta contiene perché metterebbe fine al muro contro muro che in questi mesi ha visto contrapporsi maggioranza ed opposizione, come vasi non comunicanti, una sua messa in atto finirebbe per far perdere tempo prezioso ad una distinta prospettiva di governo che solo in un quadro di diversa aggregazione, può prevedibilmente, intorno ad una personalità di grande esperienza di governance economica e di alta caratura internazionale, essere capace di offrire al paese, da una parte il giusto bilanciamento tra i tanti diritti che si stanno sacrificando, talvolta inopportunamente, e dall’altra quella accelerazione che è necessaria per non mettere a rischio il sistema produttivo e le tante piccole e medie imprese, che sono, oltre ad autonomi e liberi professionisti, l’anello debole della catena produttiva del paese.
Uno sforzo di ricostruzione sociale ed economica non può prescindere da un clima di coesione nazionale.
Pertanto non pare sostenibile proseguire su questo percorso governativo tanto improvvido quanto approssimativo, mentre la gravità del momento richiederebbe una chiara assunzione di responsabilità ad ampio raggio, sulla scia della grosse koalition tedesca e di un diverso approccio politico istituzionale sui tanti problemi che si agitano in questa dura contrapposizione istituzionale, unendo le forze ad un impegno comune per riportare nel giusto versante della dialettica costruttiva il rapporto tra i diversi livelli di governo del territorio e offrire al concerto internazionale un quadro concorde di azioni comuni e di rispetto degli impegni senza tira e molla.
È non da ultimo un occhio attento al quadrante geopolitico del mediterraneo divenuto, anche per una politica estera, da un po’ di tempo, disinvolta, oggetto di strategie neo-colonialiste.
Con l’augurio che una presidenza Biden possa aiutare a diradare, se Egli, come è prevedibile, abbandonerà la dottrina Trump che ha portato ad un disimpegno degli Usa verso l’Europa..
Mentre invece poco potrebbe giovare un patto di ibrida cogestione della cosa pubblica, fumoso ed eterogeneo nei fini.
A questo punto serve solo un sussulto di coraggio da parte di quelle forze politiche di maggioranza che spesso non mancano di essere critici al punto di sembrare di essere più incisivi dell’opposizione, salvo poi a rientrare nei ranghi, come se avessero scherzato, a cominciare dalla formazione di Matteo Renzi, che, un giorno si ed un giorno no, mostra titubanza e insoddisfazione sull’azione di governo, ma senza mai trarne le dovute conclusioni.
E allora si prenda atto che il Paese non può continuare a reggere questo stato di permanente incertezza e conflittualità che sta caratterizzando l’azione di governo, fiaccato da una dialettica spesso inconcludente e scarsamente autorevole – come può invece pretendere in una situazione di così grave emergenza nazionale – con le regioni, che ogni volta invocano sempre altro, con un gioco delle parti che li vede ora riduzionisti ora oltranzisti.
Qui si misura l’etica dei nostri governanti.
E i partiti guardino al bene comune e non sottovalutino le tinte fosche con cui si sta profilando il futuro del nostro paese, con un’economia agonizzante ed un sistema sanitario, che in assenza di quei potenziamenti che erano doverosi in previsione della forte recidiva che ci si attendeva, sta andando in tilt.
Un gesto nobile che renderebbe merito ad un popolo che in questi mesi ha provato le privazioni più inimmaginabili, dalla sospensione delle libertà fondamentali, che neanche la Costituzione ha osato ipotizzare, alla prudente, ma dolorosa lontananza dagli affetti più cari, soprattutto tra le generazioni dei nonni e dei nipoti, alle tante contraddittorie prescrizioni del governo e delle regioni che hanno frastornato e disorientato imprese, commercianti e professionisti, per la miriade di presidi, con ulteriori sacrifici economici, che hanno dovuto approntare, per poi essere vanificati da una successiva e contraddittoria ordinanza o decreto, magari proponendo altre e diverse misure e, per l’ennesima volta, giudicate dalla gran parte dei governatori e da tanti sindaci inappropriate, incoerenti ed irrazionali.
Luigi Rapisarda