Mentre scrivo questo commento,Conte si sta cimentando alla Camera per le rituali comunicazioni in merito al ritiro dalla maggioranza del partito di Renzi.
E domani lo farà al Senato.
E’ un passaggio cruciale per la sopravvivenza di questo governo e per il futuro dell’Italia perché dipenderà tutto dall’esito del voto con cui si potrà verificare se l’esecutivo ha i numeri per continuare la sua rotta o aprire una crisi di governo.
Nella conferenza stampa nella quale Matteo Renzi aveva annunciato il ritiro dalla compagine governativa delle due ministre Bellanova e Bonetti era stato chiaro, sin dal primo momento, con un’enfasi che non lasciava trasparire altre vie d’uscita.
La sua permanenza al governo solo alle condizioni di un consistente e visibile cambio di passo, mentre lungi da lui l’idea di farne una questione di poltrone.
Insomma,ancora una volta, Matteo Renzi,mattatore assoluto di questi prime settimane del nuovo anno, con un’offensiva senza precedenti da “partito di lotta e di governo”.
Sotto un duro attacco, durato circa un mese, senza risparmiare ogni angolo delle Tv e dei social-media, il governo è sembrato annaspare tra bozze incompiute e propositi di fare meglio, mentre le altre forze della maggioranza sono sembrate ondeggiare tra arroccamenti ed aperture con il solo effetto di spingere Renzi e Bellanova a spostare sempre più in là gli ultimatum al premier, intento a tessere di giorno e scucire la notte.
Insomma un gioco delle parti che ha assunto a tratti, sempre più, contorni da commedia e melodramma nella consapevolezza dei protagonisti di tanta sfida che a forzare la mano, realmente, nessuno avrebbe avuto interesse.
Ed invece si è giocato sul filo del rasoio andando ben oltre le aspettative di questo braccio di ferro che nel momento del suo picco maggiore, ossia la conferenza stampa di Renzi, con cui ha spiegato le ragioni del ritiro delle sue ministre, ha disvelato una forte carica personale che ha investito principalmente le modalità e le disinvolture procedimentali del premier.
Non risparmiandogli neanche di essere un pericolo per la democrazia ed un pessimo esempio di coerenza politica.
A pensar bene ci fa venire in mente una comparazione con un altro contesto politico in cui tanto insincere sono apparse le parole e le promesse proprio di Matteo Renzi.
Quando l’enfasi data al sostegno della sua idea improvvida di modificare in tanti punti, ma senza omogeneità e coerenza, la nostra Costituzione, lo portò ad affermare, e con esso anche l’on.Maria Elena Boschi, che ne era stata comprimaria, che nel caso in cui non fosse passato il Referendum, che ne seguì, avrebbero lasciato la politica.
Risultato: il Referendum sonoramente non passò, ma loro sono rimasti a far politica attiva.
E sarebbe davvero una grande presa in giro degli Italiani se alla fine di tutti questi giri di valzer si giungesse con gli stessi protagonisti ad una soluzione con un rimpasto più corposo per il partito di Renzi.
Sarebbe la prova, oltre ad una brutta pagina di etica politica, che non il futuro del paese si aveva a cuore ma qualche poltrona in più.
L’epilogo per ora è del tutto incerto perché ancora non c’è formalmente una crisi di governo.
Ma nel momento in cui si materializzasse, tra oggi e domani, nei quali il premier concluderà le dovute comunicazioni alle Camere sul ritiro delle due ministre,non sono da escludere, tra i possibili sfondi, nuove elezioni, anche se non auspicabili, dato il momento drammatico per il paese.
Intanto lo scenario che si sta profilando all’orizzonte non ci sembra meno preoccupante.
Stando alle dichiarazioni dei rappresentanti della maggioranza, che sta facendo quadrato attorno a Conte, “l’inaffidabilità” di Matteo Renzi (parole di Zingaretti) rende la sua forza politica non più compatibile con la coalizione che intende sostenere ancora il premier.
Queste dichiarazioni lasciano chiaramente intendere – ed è l’altro inquietante sfondo che si sta intravedendo nelle manovre di ieri e di oggi – che la maggioranza è in cerca di “responsabili”.
Anche se a sentire i primi candidati, che timidamente han fatto capolino, respingono questo modo inelegante, proclamandosi dei “costruttori”.
Definizione mutuata dal discorso del Presidente della Repubblica pronunciato a fine anno.
Un termine che in quel contesto è sembrato avere una valenza assai diversa, richiamandosi al senso di responsabilità e allo spirito di servizio di tutte le forze politiche e di tutte le istituzioni che hanno in mano il presente ed il futuro del nostro paese, in un momento in cui è fortemente piegato da una emergenza pandemica che oltre a insidiare la salute e la vita di ciascuno di noi,sta producendo danni incalcolabili al nostro tessuto sociale, civile ed economico.
Pertanto non ci rassicura di certo, la prospettiva di vedere affidate le sorti del futuro del paese alle mutevolezze imprevedibili di una maggioranza, di volta in volta, risicata ed esposta all’arbitrio di proposte improvvisate,e non riconducibili alla responsabilità di esponenti di una forza politica, ma che fanno solo capo a se stessi.
Un tale viatico fa presagire un governo esposto ad una navigazione assai procellosa e a rischio default.
Oltre al fatto che simile scenario,in questo poderoso sforzo di rinnovamento del paese che richiede basi solide e coerenti,non si predispone come garanzia di lungo respiro.
E anche l’ipotesi di formare un gruppo ad hoc, come si vocifera, non può non dissimulare tutta l’artificiosa strumentalità di una forza parlamentare non rappresentativa di territori, esposta alle variabili dei sondaggi, oggi più che mai, stimolo o freno dell’azione politica dei partiti.
Che tradotto in parole povere significa un continuo litigare e un maggior rischio di non assicurare omogeneità e salde convergenze sugli obiettivi che fanno capo al progetto di ricostruzione che ci chiede l’Europa con il Recovery plan e sull’attuazione puntuale delle correlate riforme nei diversi settori dell’amministrazione pubblica, dei trasporti, del territorio, della giustizia, del fisco, nella cornice dei tre assi indicati dall’Ue: sviluppo sostenibile, coesione sociale e innovazione digitale.
Insomma una così irragionevole prova di forza da parte di un premier non più in grado di essere efficace mediatore tra progetti e visioni di paese, da sempre inconciliabili, di Pd e 5Stelle, che espone il governo a cercare di volta in volta voti e sostegni occasionali, in questo momento, sarebbe esiziale, per di più se una tale prospettiva si incrociasse fino al semestre bianco, che vuoi dire un estenuante tirare a campare ben oltre la primavera del 2022.
Un scenario che appare davvero poco rassicurante..
Come non appare rassicurante l’alternativa del ricorso alle urne.
Intanto perché molto dipende dalla curva di diffusione del virus.
Ed è fuor di dubbio che un indice di contagio alto, in concomitanza con l’andare al voto, ne condizionerebbe pesantemente il suo esercizio per il rischio che tanta gente, per non esporsi al pericolo di contagio, si asterrebbe, suo malgrado, dall’andare a votare.
Ma una vittoria del centrodestra a trazione sovranista e populista, pur liberandoci dell’asfissia del governo dei giacobini pentastellati e dai loro guasti incalcolabili, dato l’ormai scarso peso di Berlusconi e della sua forza politica all’interno di questa nuova leadership di Salvini, sempre più insidiata da Giorgia Meloni, non porterebbe un miglioramento del clima politico e sociale.
Ove giocherebbero un certo peso le non sempre tenere posizioni di questi due leaders verso l’attuale governance dell’Unione europea e i tanti attriti che potrebbero innescare.
Insomma tutto il contrario di quello che si richiede in questa forte congiuntura sociale ed economica.
Ossia, propositi ed impegni ad un lavoro comune ed una fiducia reciproca nell’Ue.
Una ragione in più per cogliere questa occasione come fulcro di un patto dei partiti europeisti in un quadro di riscrittura di un comune progetto di ricostruzione, abbandonando quella visione angusta di paese come evidenziata dalla superficiale e disaggregata prima stesura del Recovery plan predisposto dal governo.
In un percorso comune con piani di investimenti ben focalizzati, con riparto di somme assai coerenti e congrue, precise indicazioni delle opere da fare, un preciso crono programma attuativi, un’ affidabile governance e una concreta credibilità che le riforme collegate, principalmente, al settore pubblico, siano realmente portate in porto con una buona dose di efficienza e ammodernamento delle strutture e degli Ordinamenti.
Tutto questo con un coinvolgimento dell’opposizione o di parte di essa,visto che Giorgia Meloni si è affrettata a precisare che vuole solo nuove elezioni e Salvini si dispone solo ad un governo di scopo.
Alludo invece principalmente a Berlusconi ed alla sua forza politica, da sempre garanzia di moderazione e di europeismo convinto.
Insomma a quelle forze che fanno riferimento alla comune matrice che ha nel Ppe un saldo punto di riferimento.
Ma anche a quelle forze centriste liberali e riformiste e popolari.
Un gesto di comune generosità per l’Italia che devono saper cogliere, precipuamente, queste forze centriste che, frangenti così drammatici che stiamo vivendo, in termini di tante vite insidiate da questo inarrestabile virus, con un’economia sempre più in ginocchio e un futuro incerto e fosco per le nuove generazioni, rendono doveroso per il nostro paese.
Serve allora un patto di coesione nazionale che partendo dal modello della “Grosse koalition” di cui ne è stato espressione il terzo ed anche l’attuale governo di Angela Merkel(ma anche noi in realtà abbiamo avuto un simile governo nel 2013,guidato da Enrico Letta, guarda caso defenestrato dall’allora segretario del Pd, Matteo Renzi) progetti insieme il nostro futuro, approfittando di questa unica occasione che ci offre l’Ue, così da non disperdere ogni pur prezioso contributo nella direzione di una prospettiva di un nuovo processo di sviluppo che merita il nostro paese.
Persino i 5Stelle, in preda ad un inarrestabile trasformismo, con la proposta di Grillo, pur di non far perdere gli scranni ai suoi, invocano un governo aperto all’opposizione: quell’ “ammucchiata” per cui loro menavano vanto di voler interdire “aprendo il parlamento come una scatola di tonno”.
Insomma un coinvolgimento comune, con allargamento della maggioranza, con un patto definito su questi precipui obiettivi, dovrebbe trovare nel Pd, che per bocca del suo Segretario Zingaretti ha in questa prospettiva di crisi, al momento, posto due pregiudiziali “ no ad un governo con Renzi, no ad un governo con la destra”, il fautore di un governo di larghe intese con aperture a Forza italia, ed a tutte le formazioni centriste ma anche a chi,delle altre forze di opposizione, deponendo ogni velleità anti europea e populista, intenda non far venire meno un generoso contributo all’Italia, per scrivere insieme le nuove regole dell’amministrazione della cosa pubblica ed un progetto per l’Italia, con un premier di garanzia a guidarne l’esecutivo.
E qui torna in mente l’intenso e nobile significato dato dal nostro Presidente della Repubblica al termine “costruttori”.
Che ne fa discendere come corollario che in momenti come questi i ristretti interessi di bottega devono essere accantonati e volgere attentamente lo sguardo al futuro destino della nostra collettività.
Non a caso su questo fronte si sta dipanando un processo di incardinamento ad opera di quelle forze che si prefiggono il recupero dei valori e degli ideali, in una chiave rinnovata, che furono espresse dalla DC.
Una prospettiva che non pare sia stata colta in tutta la sua pregnanza da quella forza politica che pur rappresentativa di questi valori si è acconciata a fare da caudataria ad una coalizione,quella di centrodestra che spinge ancora su tematiche populiste ed anti europeiste.
Ma gioverebbe anche al Pd per uscire fuori da quelle ambiguità che ne stanno caratterizzando la linea in una subalternità verso il movimento 5 Stelle e per conseguenza una scarsa capacità a demarcarne ogni pulsione giustizialista, anti parlamentare( dottrina Rousseau)anti infrastrutturale, anti industriale e di conseguenza anti sviluppo.
Mettendo a frutto, in una contingenza così cruciale, quelle visioni moderate, liberali e riformiste, che stanno trovando ulteriore linfa nel processo di ricomposizione delle componenti popolari, solidariste e cattoliche, nella comune matrice del Partito popolare europeo, che recuperando continuità o attingendo dai valori e dagli ideali, che connotarono l’azione politica della Democrazia Cristiana, si ripropongono come baluardo invalicabile a politiche populiste e sovraniste,come allora fu nel tenere argine al pericolo comunista.
Contribuendo ad invertire il processo di forte radicalizzazione delle forze politiche e restituendo l’insostituibile ruolo che ha il centro, da sempre, ago della bilancia nella formazione e nella maggiore o minore stabilità dei governi, oggi alterato da in tripolarismo anomalo, che con un centro pressoché assente ha generato maggioranze ibride ed innaturali, a detrimento del paese
Nell’intento di restituire identità a quella larga parte di cittadini che in questo momento è sconcertata da politiche pubbliche dissennate e dal forte indebolimento del centro politico dell’arco parlamentare.
Non a caso un qualche dubbio sulle capacità di governo, in una situazione così complessa, non pare essere sfuggito imprudentemente dalla bocca di Giorgetti, qualche tempo fa, che aveva parlato di un centrodestra non pronto a governare.
E anche una parte di elettorato, identificabile in una collocazione più di centro moderato, non vedrebbe di buon occhio, in questo momento di delicati rapporti con l’Ue, questa alleanza di centrodestra schiacciata sulla leadership dei sovranisti.
Come sembrano lontani i tempi in cui si diceva “Senza il centro non si vince”.
Mentre ci siano da monito gli effetti deleteri che hanno prodotto le politiche di oltreoceano durante la presidenza Trump.
Foriere di forti tensioni, avendo acuito ancora di più il solco tra poveri e ricchi e risvegliato sentimenti razziali come non mai.
Segno che il populismo, di cui è fortemente intriso anche il movimento 5Stelle, ed il sovranismo non paga che in termini di accentuazione dei divari, portando solo divisioni,contrapposizioni e scarso rispetto delle istituzioni democratiche, come ne hanno dato prova gli episodi dell’attacco vandalico e insensato alla sede del Congresso statunitense, impegnato a proclamare Joe Biden quale nuovo presidente degli USA.
Una ragione in più per neutralizzare lo spostamento del baricentro verso gli estremi dell’arco politico e la sua vanificazione come perno riequilibratore, foriero di politiche aggressive e faziose che creano divisione e scontento.
Mentre gli italiani fluttuano disorientati e confusi, nell’inquietudine di uno scenario di disfide e di resa dei conti..
E che dire di quell’ ampia parte del paese: imprenditori, professionisti, autonomi, lavoratori precarizzati, in forte affanno o già allo stremo e della generazione scolastica deprivata da un anno, salvo qualche breve periodo, della socialità scolastica e del concreto ed eguale diritto allo studio?
Sono loro che, principalmente,stanno duramente pagando la crisi, non garantiti da retribuzione pubblica, esposti ad una gestione dell’emergenza ove continua a predominare un navigare a vista senza un progetto d’insieme: prima con tutti i problemi delle forniture dalle mascherine, poi con le siringhe, con ospedali che si sono trovati presidi inadatti così da dover fare ricorso alle loro scorte ordinarie, poi con i bandi per l’assunzione di personale infermieristico, che non hanno attirato grandi risposte, fino al parziale flop del piano vaccini contro l’influenza che ha lasciato fuori tanti cittadini per la insufficiente fornitura ai medici di base.
Mentre meglio sembra andare con il piano di vaccinazione anti covid, anche se esso attende una migliore definizione con l’avvio delle forniture da parte di AstraZeneca.
Certo nessuno al mondo può vantare di aver trovato le appropriate soluzione ad un virus che peraltro muta con tanta facilità, né’ chi si appellava ad una naturale immunità di gregge, né chi è ricorso massicciamente a lockdown prolungati.
Ma fa una diversa cifra vedere il confronto tra i nostri interventi a sostegno del sistema economico colpito duramente da così pesanti limitazioni e le misure di sostegno e ristoro varate dagli altri paesi, che sono arrivati fino a coprire l’intero arco delle perdite delle aziende e delle attività professionali.
Luigi Rapisarda