Con ordinanza n. 10290 del 2021 la Cassazione ha confermato il principio secondo il quale i prelevamenti sul proprio conto corrente, operati dal lavoratore autonomo, non sono automaticamente riferibili ad un investimento nell’attività professionale destinato a generare ricavi imponibili.
Spetta semmai al Fisco provare che siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del suo reddito.
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Una professionista ricorreva alla Suprema Corte stante che, sia in primo che in secondo grado, era stato confermato l’avviso, notificato nei suoi confronti, col quale era stata accertata una maggiore Irpef ed Iva da corrispondere al Fisco.
Le Commissioni di merito ,infatti, avevano confermato quanto effettuato dall’Ufficio e cioè la ripresa induttiva con la quale veniva aumentato di 34mila euro il reddito di lavoro autonomo. Ciò sulla base degli accreditamenti e dei prelevamenti effettuati sul conto corrente.
La Cassazione si è soffermata, ancora una volta, sulla verifica dell’applicabilità della presunzione posta dall’art. 32 del dpr n. 600 del 1973, condividendo quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 228 del 24 settembre 2014.
Infatti la Corte aveva stabilito che è contrario al principio di ragionevolezza nonchè di capacità contributiva ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti bancari, effettuati da un lavoratore autonomo, siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di reddito.
Infatti, sul punto, viene meno l’equiparazione tra attività imprenditoriale e professionale.
Pertanto, limitatamente ai prelevamenti, spetterà semmai all’Ufficio l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone ricavi.

Avv. Salvatore Torchia

Scarica l’Ordinanza in formato pdf: Cass. Civ. Ordinanza n. 10290 del 2021

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