La Cassazione V sezione penale, con la sentenza n. 12101 del 22 marzo 2023, ha dichiarato che la satira, almeno quella vera, non costituisce reato.
Di conseguenza, in accoglimento del ricorso dell’imputato, ha cassato la condanna senza rinvio, ed ha revocato le statuizioni civili.
L’imputato aveva preso di mira un ente, additandolo come inutile, con una serie di volantini, manifesti e con scritti su un periodo locale.
Gli scritti, però, erano in versi ed avevano un carattere canzonatorio. Le rime, inoltre, erano fatte con frasi colorite, anche se a tratti scurrili.
Tuttavia non facevano riferimento ad un’informazione su fatti specifici non veri che potevano ledere l’onore del direttore dell’ ente.
La Suprema Corte, pertanto, ha ritenuto che la satira, diversamente dalla cronaca e dalla critica, si sottrae al parametro della verità perche esprime un giudizio ironico su un fatto, mediante il paradosso e la metafora surreale.
Ha aggiunto che la stessa resta assoggettata soltanto ai limiti della pertinenza, nel senso che le espressioni e le immagini forti devono essere funzionali alla finalità di denuncia politica e sociale, e della continenza. Riguardo a quest’ultima i toni pungenti, e persino volgari, non si devono tradurre in un’aggressione gratuita che ledono l’onore e la reputazione della persona interessata.
Orbene, nel caso in esame si è rilevato che le espressioni utilizzate dall’imputato non si risolvevavano in un attacco gratuito contro la persona del direttore, mentre l’articolo sul periodico costituiva una manifestazione del diritto di critica.
A tal proposito i giudici hanno chiarito come, nella satira, si possono usare frasi o immagini anche lesive della reputazione altrui, a condizione che siano collegate in modo strumentale alla manifestazione di un ” dissenso ragionato” dall’opinione o dal comportamento preso di mira. E a patto che lo scherzo e l’ironia non divengano lo strumento per diffondere informazioni false oltre che offensive, almeno nel nucleo essenziale.
Avv. Salvatore Torchia