Oggi sembra esserci una generale omologazione nello stile e nei comportamenti istituzionali
dei politici.
Certo c’è sempre qualche eccezione.
Ma a farla da padrone è oramai la politica strillata e i tanti funambolismi istituzionali che
caratterizzano l’azione politica di molti rappresentanti del popolo.
In questo scenario vien da chiedersi se ci sia mai stato un epoca in cui lo stile esprimeva
coerentemente l’identità di un partito per compostezza, misura e rispetto dell’avversario.
La risposta ce la dà la storia politica dei primi cinquant’anni dal secondo dopoguerra ove la
DC si impose anche per uno stile severo, istituzionale, mai sopra le righe, anche al cospetto
delle polemiche più aspre.
Giorgio Merlo nel suo articolo di qualche giorno fa su Il Domani d’Italia: “Riflessioni sulla
classe dirigente..”, scrive:
“Ogniqualvolta si parla della Democrazia Cristiana e, soprattutto, dei leader e
degli statisti democristiani, non manca quasi mai un riferimento al cosiddetto
“stile” che caratterizzava quelle donne e quegli uomini.”. “.. un modo di essere
che rifuggiva da schiamazzi e dalla facile polemica..”
Di certo non appare tanto assimilabile al virtuoso “stile” democristiano la bizzarra ed
ambigua performance del segretario politico Totò Cuffaro, in una Palermo( così pare) quasi
incredula davanti al tipo di protesta inscenata contro l’aggressione della Russia di Putin ai
danni dei territori dell’Ucraina.
Uno passerella che non è sembrata casuale, anzi, in perfetto stile movimentista e piazzaiolo,
dove il segretario nazionale con indosso una maglietta rossa, con le famigerate effigi, della
falce e martello e le lettere CCCP, al canto di bella ciao esibiva platealmente il pugno
chiuso.
Un composto coup de theatre più per iniziati che per gente comune, tanti erano i messaggi
contraddittori, con tutti quei simboli di un'epoca storica, ormai superata – anche se Bella ciao
è ancora oggi il simbolo di resistenza di un popolo che vuole libertà e democrazia – che
hanno caratterizzato questa protesta contro l’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina.
Ovviamente la cosa ha avuto grande eco sui media, anche nazionali.
Quello che ha lasciato perplessi molti attenti lettori, che poi non hanno mancato di
commentare sui social, è stato il fatto di scegliere un travestimento da militante comunista
con tanto di pugno chiuso, quando la protesta poteva essere meno plateale, ma più efficace,
senza ricorrere ai simboli più eclettici del Comunismo, che grondano di efferata disumanità,
e a messaggi criptici, ma molto ambigui, che con esse Cuffaro ha voluto lanciare, ma ai più
comprensibili e chiari simboli dell’identità democristiana, che seppe fare argine alla
mostruosa ideologia comunista e a ogni forma di dittatura( non dimentichiamo tanti valorosi
aderenti partecipare e morire durante la lotta partigiana contro i nazifascisti)in difesa della
libertà e della democrazia e propiziando altresì con De Gasperi, nel comune intendimento
con Adenauer e Schuman, i primi organismi comunitari nel vecchio continente.
Vien da chiedersi perché Totò Cuffaro, segretario di un partito il cui patrimonio di valori non
ha mai dato spazio nel sistema politico al dilagare di una mediaticita’ senza freni portata dal
vento populista che da qualche lustro soffia sul nostro sistema politico, abbia preferito
dismettere lo stile sobrio e misurato che ha sempre caratterizzato ogni azione e iniziativa
politica della DC.
Di certo non appare irrilevante il sospetto che a forza di trovarsi fianco a fianco con forze
politiche che hanno fatto del populismo la cifra della loro azione politica, e il non meno
rilevante ingresso, nel partito di nuove culture politiche antitetiche ai valori storici di cui la DC
è stata portatrice, non abbia finito per conformarsi a modelli e ruoli che da sempre sono
lontano un miglio dallo stile democristiano.
C’è poi da chiedersi se per caso quel vezzo di rinominare mediaticamente l’identità del
partito in “Nuova DC” non abbia finito per rendere fragili le radici indispensabili per
mantenere viva la continuità storica, obiettivo prioritario che dai promotori del 2016 al XIX
Congresso, con cui si avviò la riorganizzazione del partito, ne ha sempre orientato l’azione
politica in continuità con il patrimonio di valori per cui è nata e ha agito la DC.
Se a questo aggiungiamo la spoliazione del simbolo storico, che ancora una volta, per
effetto di scelte procedimentali che purtroppo non assicurano una dialettica probatoria
completa, si riconosce nel legittimo uso all’Udc, e l’adozione di un nuovo simbolo, la
percezione di una nuova identità del partito, appare più che convincente.
Per contro non vediamo un grande lavoro di sensibilizzazione nei territori della nostra
penisola, dove non vi sono le stesse peculiarità della Sicilia, tanto che si ha sempre più
l’impressione che si stia tirando dritto verso un assetto di tipo elettoralistico, che pur se
nell’immediato può assicurare risposte anche apprezzabili, rischiano di rendersi nel lungo
periodo effimere, non essendo in grado di radicare valori e principi che solo un lavoro
paziente e diffuso può essere in grado di assicurare nel tempo.
Il quadro appare ancor meno rassicurante per il fatto di non intravedere alcun dinamismo
dialettico interno sulle tematiche che affliggono le nostre comunità sociali ed economiche,
essendo rarissime le occasioni di confronto interno negli organi a ciò deputati, nonostante
ripetute richieste di convocazione al presidente del C.N. per rendere chiara la linea del
partito attorno alle varie questioni, prima fra tutte quali confini a destra, considerata
l’avventurista linea espressa di recente dal presidente del Ppe M. Weber, teso a spostare
l’asse politico del governo dell’Europa verso una coalizione a destra senza condizioni, quindi
aperta anche agli estremisti del fronte Lepenista e di Afd.
In questo quadrante in cui le sortite mediatiche del partito appaiono frammentate e senza
visione non possiamo non cogliere con sempre più evidenza il tentativo che si stia cercando
di costruire un partito attorno a delle candidature, quando invece per un partito che pretende
di agire in continuità storica, dovrebbe essere l’esatto contrario.
6.09.2023
Luigi Rapisarda