Come sempre, interessante e pregevole l’articolo di ieri di M. Follini su Il Domani d’Italia dal titolo: “Somiglianze improbabili. La storia finita della DC”. L’articolo si chiede, e non è la prima volta, se possono rinvenirsi somiglianze nell’azione politica dei leader odierni o nel loro partito con la DC. Così sin dalle prime battute leggiamo: ”Il racconto che di tanto in tanto riaffiora secondo cui Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, starebbe prendendo caratteri “democristiani” in virtù del suo primato numerico e governativo appare come una delle invenzioni più debosciate del nostro attuale discorso pubblico. Non c’è nulla di democristiano né nella Meloni né nel suo partito. Cosa sulla quale peraltro si trovano d’accordo la gran parte di quanti hanno voluto bene alla Dc e la gran parte di quanti vogliono bene alla premier. Eppure quella ricerca di improbabili somiglianze di tanto in tanto riaffiora, quasi a voler dire che il nostro destino politico evolve sempre per imperscrutabili continuità e mai per innovazioni, buone o cattive che siano.”. Ora il problema, come si diceva, non è nuovo. Del resto è lo stesso Follini che ricorda come già nella precedente legislatura si attribuissero a Conte atteggiamenti e stile democristiano. Di certo è che l’esperienza della DC, almeno per come si è concretizzata nei cinquant’anni di vita politica fino al suo apparente scioglimento e riconversione con Martinazzoli nel Ppi, non sarà più ripetibile. Una constatazione, seppur ovvia, che nessuno può negare, nemmeno chi oggi è impegnato a rifare la DC. Sia perché ogni prassi politica è figlia del suo tempo e quindi non può che essere contestualizzata, ed in quel percorso politico il ruolo della DC fu tutto proiettato nel fare argine ad un temibile blocco comunista che avevamo proprio ai confini delle nostre frontiere, e nel ricostruire, cosa che seppe fare egregiamente, un paese stremato da una guerra brutale e fratricida; sia perché un vuoto di attività e di esercizio del potere, per ben trent’anni, non può consentire di ritrovare un classe dirigente ben addestrata, capace di scelte e azioni che in qualche modo ne riproponesse stile e capacità di mediazione. Così l’autore giunge, ancora una volta alla facile conclusione che non v’è’ che:“..Prendere atto che la storia democristiana è finita da quel dì e non sarà più ripresa”. Certo ce ne vuole a dare della democristiana a G. Meloni, pur con i suoi tentativi di stop and go nel governo, attenta a mediare nelle strettoie di un confronto politico con le opposizioni, per non farsi scavalcare a destra dalle provocatorie iniziative del solito Salvini “di lotta e di governo”. La conclusione di M. Follini forse appare un po’ affrettata e richiede di ingrandire il focus riguardo al contesto politico attuale . Ciò che emerge dal Suo pregevole commento è il fatto di aver ignorato, o non aver valutato con il dovuto realismo, il tentativo di ripresa dell’esperienza democristiana, sia pure, in una nuova chiave di lettura, attualizzata, appunto,al contesto politico nell’intento di dare risposte in chiave, stile e visione politica e con il proposito di costante apertura al dialogo con le altre forze politiche, in conformità e nel pieno rispetto dei principi e dei valori scolpiti nella nostra Costituzione. Così l’occasione non ci pare di poco rilievo per non addentrarci in una, sia pur breve, messa a fuoco del nobile tentativo di rifare la DC. Intanto non si può negare quanto sia stato fervente lo spirito pionieristico dei promotori nell’iter con cui si è proceduto a celebrare il XIX Congresso nel 2018, nel quale c’è stato persino un riconoscimento giudiziale(Sentenza resa lo scorso anno dal Tribunale di Roma sul ricorso di due iscritti)nell’essersi fedelmente attenuti alle direttive operative dettate nel noto provvedimento giudiziale del 2016 del giudice Romano del Tribunale di Roma che ne asseverava le conformità allo Statuto. Una iniziativa valorosa non foss’altro perché non si poteva accettare di chiudere politicamente, dopo che le Sentenze ne avevano accertato il mancato scioglimento, un percorso politico così denso di valori e di principi che hanno consentito di costruire una società libera e prosperosa, dalle macerie della guerra. Chiaramente al di là dei nominalismi nessuno si nascondeva il fatto che non è facile riproporre un partito nella sua versione originaria. Così come è impossibile riprodurne fedelmente l’opera quando si agisce in realtà diverse, espressioni di epoche diverse. Al contempo si era consapevoli del percorso irto di ostacoli, che in qualche modo finiscono con il deformarne il profilo. Di certo poi non ha pesato positivamente la singolare vicenda legata alla inibita spendita dell’uso dello scudo crociato, al momento inopinatamente in uso all’Udc, pur se disgiunto dalla originaria titolarità, che resta in capo al partito storico, ma che paradossalmente non consente al partito riedito di poterne riproporre l’originario simbolo. A ciò si innesta l’emergente tendenza della nuova segreteria Cuffaro ad una angusta regionalizzazione. Alludiamo ovviamente all’enorme sproporzione tra i consensi registrati in Sicilia e la pressoché esigua percentuale nel resto dei territori dove in questi due anni si è votato. Questioni che ad uno sguardo esterno potrebbero fare affievolire ogni idea della somiglianza e della continuità. Quel che soccorre però sono i contenuti del rinascente partito, ove appare inequivoca la volontà di riproporsi nel solco della costante orientamento che trova le sue radici in primis nella dottrina sociale della Chiesa e con esse nel proposito di metodi e stili politico-istituzionali il più possibile somiglianti all’esperienza pregressa. Impegni che vanno sperimentati nella realtà ma che di certo esigono rigore e serietà nelle scelte. Certo il momento storico non è dei più favorevoli, ma ogni democristiano non si è mai cibato di fantasie. E già un bel po di anni ove persiste una diffusa metamorfosi dei partiti, irriconoscibili rispetto alle formazioni tradizionali, come erano ai tempi della DC: oggi, quasi tutti leaderisti (ove nessun peso sembra avere una convinta democrazia interna) populisti, demagogici e talvolta, con l’aggravante di aver usato la circostanza di essere stati maggioranza di governo, per mettere in campo obiettivi di astiosa antipolitica. Questa comune mutazione trova, soprattutto nell’attuale bipolarismo del sistema il suo maggior artefice. Giungendo persino, nell’intento di dare una maggior protezione del sistema, sempre più chiuso, ad inventarsi meccanismi elettorali che da una parte consentono al leader del partito di scegliersi i rappresentanti più vicini ai suoi obiettivi( i cosiddetti nominati), dall’altra non favorevoli al facile ingresso delle forze politiche di nuova formazione nelle competizioni elettorali, costringendo i nuovi partiti ad alleanze, talvolta ibride, per essere presenti nelle competizioni elettorali( famosa la definizione: porcata, data da uno degli ispiratori di queste disinvolte leggi elettorali). Il problema si porrà anche nel corso delle prossime elezioni europee, pur non essendoci alcuna parvenza di bipolarismo nella legge elettorale per il rinnovo dei rappresentanti al parlamento dell’Ue. In questo caso c’è da superare l’ostacolo della raccolta delle firme se non si vuole ricorrere alle alleanze di lista o ad altri espedienti. Questo stato di cose, aggiunge alla valutazione del partito da parte di ciascun elettore il rischio di un qualche opportunismo entro obiettivi ridotti e strumentali ad una visione poco lungimirante e più tesa a rappresentanze di bandiera, dissolvendo l’idea di una reale continuità. C’è poi una parte dell’opinione pubblica che, attraverso i media, accredita la percezione che questa riproposizione politica della DC vada letta come fenomeno autonomo, che ha trovato il brodo di coltura in un contesto molto favorevole ove fu fondato il partito. Insomma un territorio che non ha mai smesso di continuare a vagheggiare e pensare democristiano. Forse quell’etichettare come “Nuova DC”, il partito che Cuffaro ha presentato in lungo ed in largo appena due anni fa con le sue dichiarazioni di voler ricostruire la DC, non gli ha portato bene. Così egli rischia di essere accomunato come una delle tante versioni cesariste dell’attuale sistema politico, mentre una maggiore collegialità potrebbe portargli vantaggio in termine di maggiore somiglianza con la vecchia DC. Probabilmente letture un po superficiali, che forse non colgono l’infaticabile lavoro dietro ogni dichiarazione che ne affermi l’ideale continuazione, pur su nuove basi valoriali, in linea con il progredire della società e con i nuovi bisogni, e con gli obiettivi, a breve e lungo periodo, che il contesto storico interno e geopolitico pone tassativamente per la salvaguardia del futuro del pianeta e delle nuove generazioni. Di certo però non aiutano a comprendere fino a che punto può legittimarsi una lettura nel segno della continuità, la pervicace vocazione, emersa in tutte le tornate elettorali che finora abbiamo potuto contare, a schierarsi a destra(qualche dichiarazione di questi giorni sembra farci cogliere questa tendenza tesa ad uno spostamento dell’alleanza del Ppe con i Conservatori, nel segno di una prossima Commissione sovranista e populista, anche per le prossime elezioni Europee, speriamo di sbagliarci) disdegnando le formazioni più centriste, anche se, pur vero, attualmente poco affidabili (eloquenti soprattutto le competizioni elettorali in terra di Sicilia)nell’ambito di un bipolarismo che, come è noto era per la DC antitetico e distorsivo nella scelta delle rappresentanze politiche, tanto che nella sua esperienza politica cinquantennale aveva campeggiato ininterrottamente il sistema proporzionale, assicurando autentica rappresentanza a tutti i territori della penisola. Un intreccio di comunanze progettuali (spesso dense di obiettivi poco compatibili con la visione di paese di questa DC) con i partiti del centrodestra, mentre gli organi del partito si prodigavano per affermare nei manifesti programmatici di voler restare identitariamente distinti e distanti dalla destra e dalla sinistra. Scelte che hanno finito per far deragliare dagli iniziali binari con cui si stava cercando di ricostruire il partito. Ma trovo al contempo singolare che nessuno si chieda come mai ne’ la dirigenza di questa DC, ne’ il fronte sparso dei popolari non stiano provando a mettere insieme le preziose energie per riaggregare buona parte dei pezzi della galassia dopo l’arbitrario ed illegittimo scioglimento della DC nel 1994, anche in vista delle prossime importanti elezioni europee. Non c’è invece alcun dubbio, ai sensi dello Statuto, che l’attuale partito, che ebbe R.Grassi come segretario, va ritenuto il legittimo continuatore della vecchia DC, non essendoci nessuna sentenza che abbia detto ad oggi il contrario. Certo poco meno potrà affermarsi la continuità di azione politica, stante l’abissale differenza dei contesti storici in cui comparativamente si è operato e oggi si è chiamati ad operare. Spero si finisca con il gioco delle somiglianze, come lo stesso Follini decisamente auspica, augurandomi che in una visione comune si possa contribuire a recuperare, in chiave attuale, tutto il patrimonio di valori, di stile e di metodi che rese per cinquant’anni la DC il partito più votato.
18.09.2023
Luigi Rapisarda