La Cassazione, con la sentenza n. 12398 del 7 maggio 2024, ha chiarito che la caparra penitenziale non può essere considerata un negozio sospensivamente condizionato, ma piuttosto come condizione risolutiva espressa. Infatti, l’esercizio del recesso,  rimuove gli effetti contrattuali già prodotti o ne impedisce la produzione.  Pertanto, la tassazione della caparra penitenziale, deve essere differita fino al momento dello scioglimento del contratto, quando si manifesta la capacità contributiva.
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Si tratta di una decisione importante perché rappresenta un passo avanti, nell’adeguamento del quadro normativo,alla complessità delle transazioni contrattuali.  In altre parole offre maggiore chiarezza e coerenza nel trattamento fiscale delle caparre penitenziali.
Invero la caparra penitenziale,  definita come la somma versata in vista di un possibile recesso contrattuale,  rappresenta un corrispettivo per il diritto di recesso. Di contro,  com’è noto, la caparra confirmatoria non prevede, anzi vieta il diritto di recesso.
La Cassazione,  per completare la sua disamina, ha stabilito anche che le imposte, versate per acconti e caparre confirmatorie , possono essere scomputate dalla tassazione del contratto definitivo ed ha esteso tale principio anche alle caparre penitenziali.
In definitiva la superiore pronuncia risolve una questione che è stata a lungo oggetto di controversie interpretative.
   Avv. Salvatore Torchia

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