Luigi RapisardaLe acrobazie di Donald Trump al prezzo di un’Europa vulnerabile

Una grande tempesta sembra aver investito gli Stati Uniti e l’Europa.
La nuova età dell’oro, vagheggiata da Trump, tra machismo istituzionale, disimpegno Nato,
prelazioni sulle terre rare e guerre commerciali, porterà davvero l'America ad un inedito
boom economico o creerà i prodromi per un irreversibile crepuscolo della più grande
democrazia?
E, mentre le cancellerie dei paesi, non solo europei, stanno valutando il repentino
capovolgimento della politica estera americana, Donald Trump non perde tempo con i suoi
decreti a sbandierare misure draconiane, costituiti, al momento, soprattutto da introduzioni o
inasprimenti di dazi commerciali, nell’idea di creare una cintura protettiva dell’industria
statunitense.
Eppure, contrariamente al suo disegno, le borse stanno registrando un forte calo tra i titoli
più blasonati, tra cui Tesla di Elon Musk, mentre riappare lo spettro dell’inflazione e della
recessione.
Sul versante del negoziato sul conflitto ucraino, a passo spedito sembrano procedere a
Riyad i preliminari a quello che dovrebbe essere il “tavolo per la pace”.
Giusto l’altro ieri si è avuto, a Gedda, un incontro preventivo( forse per saggiare le reali
intenzioni del presidente ucraino)tra Zelensky e il segretario di Stato Rubio, che non ha
mancato di sciorinare un perentorio protocollo delle rinunce e delle disponibilità che l'Ucraina
dovrà dare, sebbene sembra permanere ogni ostracismo intorno ad una diretta
partecipazione di Zelensky al tavolo dei rappresentanti delle due superpotenze nucleari.
Intanto il Cremlino, che dalle prime reazioni da parte dell'entourage del presidente Putin
sembra non condividere il piano di tregua concordato da Zelensky con i rappresentanti
dell’amministrazione statunitense, intensifica l’offensiva nelle province del Donbass e nel
Kursk, approfittando dell’annunciato blocco delle attività di intelligence deciso da Trump;
mentre Zelensky risponde lanciando droni verso Mosca.

La Difesa comune europea della Von der Leyen, un ectoplasma che non convince

In questo scenario appaiono assai stupefacenti le dichiarazioni di ieri della presidente Von
der Leyen, pronunciate in seno al parlamento comunitario, a proposito del riarmo europeo,
quando nell’usare l’espressione: difesa comune, citando peraltro le profetiche parole di De
Gasperi sul tema, che però presupponeva il completamento del processo comunitario, nulla
è sembrato successivamente ricavarsi in direzione di un urgente avvio di un necessario
mutamento della fisionomia istituzionale dell’Unione per consentire l’effettivo onere
decisionale, organizzativo ed attuativo sotto la bandiera dell’Ue.
E’ evidente che se c’è una cosa che in queste contingenze non serve è proprio l’andare a
delineare prospettive inconcludenti poco compatibili con l’attuale assetto istituzionale e
rappresentativo degli organi dell’Ue, le cui decisioni possono facilmente essere sabotate da
un solo voto contrario in seno al consiglio europeo.
Solo un parlamento europeo, dotato di effettiva rappresentatività e di autentico potere
legislativo – cosa che allo Stato non è – nel cui esercizio si esprime, in un sistema
democratico, la sovranità popolare, in questo caso sovranazionale, nella tipica forma
federale, potrebbe varare decisioni autonome e vincolanti rispetto ai singoli Stati membri.
Così più che il segno di un nuovo corso comunitario, fondato sul perseguimento, in tempi
rapidi, di un modello di Stato federale, presupposto per l’effettiva attuazione ed
organizzazione di una difesa comune europea, su cui invece molto potrebbe pregiudicare la
mancata stabilizzazione di un unico comando delle forze nazionali in campo, sembra assistere a un fai da te (con tutte le implicazioni che una incontrollata corsa al riarmo può
causare all’interno di politiche nazionaliste, oggi sempre più temibili, anche all’interno del
quadrante continentale europeo)che ogni Stato è chiamato ad affrontare all’interno dei propri
bilanci, con l’unica attenuante che qualsiasi sforamento nazionale del patto di stabilità non
andrà, in sostanza, sotto censura.

La politica estera degli Usa, tra difesa delle democrazie e i tratti di un dissimulato
imperialismo

Vien da rimpiangere certa lungimiranza delle azioni diplomatiche di Henry Kissinger.
Pur se su talune contingenze restano ancora molte perplessità.
Non lo aiutò molto la sua magistrale abilità nel comprendere certi accenni di apertura sulle
dinamiche della politica interna dell’Italia che Moro aveva intuito e cautamente affacciato.
Sebbene prospettata come ipotesi di lavoro, una, seppur cauta apertura verso la sinistra
comunista, pur in un quadro in cui, nette, si sarebbero conservate le distinzioni ed il ruolo
dell’opposizione, non fu assolutamente gradita dagli Stati Uniti.
Eppure la Storia dell’Italia, forse, sarebbe stata meno traumatica di come poi si è snodata.
Ancora oggi, con un sistema politico squassato e delegittimato da un astensionismo giunto a
metà dell’elettorato attivo, paghiamo il prezzo di quella incomprensione, anzi di quel niet.
Non ha fatto, invece, un gran bene alla successiva politica estera degli Usa seguire alla
lettera i canoni della dottrina Brzezinski.
Una linea, quest’ultima, che ha finito per violare intese concordate in conseguenza dei nuovi
precari equilibri che si crearono con la caduta del muro di Berlino e lo sfaldamento
dell’Unione sovietica.
Quel progressivo sfondamento ad Est della Nato, includendo quasi tutti i paesi di quel
versante europeo, e che tanto ha tentato le vicende trentennali dell’Ucraina, ha scatenato
risentimenti e percezioni, non favorevoli, sul piano della sicurezza territoriale della Russia di
Putin, che non ha mai dismesso un certo retropensiero imperialista.
Un’Europa così allargata, e con tutto il poderoso presidio della protezione euro-atlantica a
favore di quei paesi, fino a qualche anno prima sotto la cortina di ferro del Patto di Varsavia,
innesco’, soprattutto ad opera dell’establishment politico-militare russo, una forsennata corsa
al riarmo, funzionale al nuovo equilibrio geopolitico e la sospensione di ogni moratoria
nucleare.
La politica estera come punto d’incontro di ogni alleanza politica nazionale
In un quadro così aggrovigliato non c’è dubbio che sua la politica estera ad essere diventata
il punto dirimente di ogni possibile alleanza all’interno delle dinamiche politiche nazionali
E non c’è chi non avanzi l’ipotesi che essa non potrà più connotarsi come una variabile
indipendente ai fini della costruzione degli equilibri politici interni.
Tuttavia, allo stato delle indubbie scelte che sta elaborando la nuova amministrazione
americana (dove appaiono di un certo peso la propaganda anti europea del vice presidente
J.D. Vance, e le sfrenate ambizioni dell'ultra capitalista Elon Musk di contrattare
permanentemente con i governi di tanti paesi i propri sistemi di sorveglianza satellitare) il
campo di possibili intese sulla prevalente pregiudiziale comune di una politica estera
condivisa, non a breve termine, non pare possa avere facile esercizio se si ritiene di voler
rimanere, ineludibilmente su un piano di riproposizione della vecchia convenzione euro-
atlantica.
Non poca rilevanza pertanto appare avere la questione. Non si può infatti non considerare, in un quadro di nuovo ordine geopolitico, l’impatto di
talune annunciate destrutturazioni pattizie e la rilegittimazione della Russia, trattata non più
come paese aggressore riguardo all’Ucraina, ma come prossimo futuro alleato, in chiave
anti cinese.
Il rischio è pertanto che creare coalizioni, sul piano interno, sulla base di pregiudiziali accordi
su contenuti ed orizzonti di politica estera, apparentemente sovrapponibili per dare credibilità
e forza, in questo scenario, ad un programma politico anche nel suo sguardo oltre i propri
confini, non appare di facile soluzione.

C’è ancora spazio per una nuova visione euro-atlantica?

Così non è fuor di luogo chiedersi – con lo stravolgimento della cinquantennale politica
estera con cui Trump ha crudamente esordito in questi primi due mesi con il suo ritorno alla
Casa Bianca – come potrà affermarsi una riproposizione della visione euro-atlantica quando
oltre oceano Trump non ha avuto remore nel mostrare forte disinteresse per il futuro
dell’Europa, peraltro in un momento in cui appare essere ancora temibile attraverso una
certa propaganda anti occidentale, la minaccia dell’attuale equilibrio geopolitico del vecchio
continente?

La cinica decisione di disattivare, in tempi brevi, l’ombrello difensivo della Nato sui
territori europei

A ciò non può non aggiungersi il fatto che è in pectore del nuovo presidente – che
paradossalmente sta giocando d’azzardo con quei valori radicati di libertà e democrazia, da
oltre duecento anni, nella Costituzione americana – l’idea di smobilitare ogni forma di
ombrello difensivo europeo nell’idea di un Europa che si accolli quasi totalmente gli oneri
della sua protezione militare, mandando così disinvoltamente alle ortiche quel cruciale
presidio euro-atlantico che ha assicurato cinquant’anni di democrazia e libertà
nell’Occidente.
Ecco perché sono importanti le prossime mosse che si registreranno nell’imminente,
cosiddetto “tavolo della pace”.
A partire da quali temi avranno peso nel negoziare la soluzione del conflitto, a quali saranno
le reali garanzie di sicurezza reciproca dei due paesi confinanti, per i due contraenti, Stati
Uniti e Russia, con a latere, forse, come terzo contraente, l’ Ucraina, si avrà lo spaccato
delle reali intenzioni delle due superpotenze nucleari.
Mentre l’Europa non sembra abbia alcun riconoscimento di ruolo, da parte di questa
presidenza americana.
In conclusione, per riprendere il filo di quali alleanze oggi possano apparire credibili nel
nostro quadro politico interno ed europeo, conterà la visione di quale reale idea di Europa si
perseguirà in concreto.
Di certo bisogna rimettere mano ai Trattati, soprattutto per non continuare a restare impigliati
nella clausola dell'unanimità di voto.

Un nuovo corso per l’Unione Europea. Si andrà davvero verso un modello federalista?

Non sarà di minore importanza l’incamminarsi rapidamente verso un modello federalista,
come peraltro vagheggiato nelle prime idee fondative.
Così non sarà abbastanza efficace, se si vuole davvero dare credibilità ed autorevolezza ad
un'Europa solida e non più in permanente condizione dí vassallaggio, continuare nella
postura attuale, ove appare prevalente la cura regolatrice dei mercati.

Serve quel cambio di passo che consenta di creare una solida identità sovranazionale, in
una dimensione realmente federalista( Stati Uniti d’Europa) espressione di un'unica
comunità dei popoli europei.
Non altrimenti potrà giungersi in modo efficace ad una comune capacità difensiva del
territorio continentale.
12.03.2025

Luigi Rapisarda

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