Uno degli effetti più inquietanti dell’immane tragedia mondiale che stiamo vivendo in questi mesi è l’adozione di taluni paesi, tra cui l’Italia, delle tipologie di approccio al contrasto del coronavirus, in violazione dei diritti fondamentali della persona, sul modello cinese.
Una prova planetaria che non ha trovato barriere ma che ci ha evidenziato le differenti sensibilità sul rispetto dei diritti della persona e le misure di lockdown, che l’esperienza di Wuhan ci aveva mostrato come unico rimedio efficace.
Così diversi paesi hanno provveduto a mutuare, senza quelle durezze draconiane che solo un regime come quello dispotico poteva mettere in piedi, senza limiti, quelle misure sperimentate a Wuhan, mentre molti, tra i paesi europei, si sono limitati ad apprestarne di proprie, senza compromettere troppo libertà e strutture produttive.
Ma in nessuno dei continenti raggiunti da questa insidiosa pandemia si è proceduto alla sospensione e al blocco totale dei diritti e dell’attività pubblica o privata, a parte i servizi essenziali a cominciare da quelli sanitari.
Non così nel nostro paese, ove stupisce la corriva tendenza ad imitare il modello cinese, nonostante le poche trasparenze con cui si sono caratterizzati in questa vicenda di diffusione del contagio, ed i singolari metodi di confinamento sociale, che sebbene depurati delle tante durezze, hanno portato il nostro governo alla sospensione di fondamentali libertà della persona per un tempo troppo prolungato, oltre a farlo con strumenti normativi non conformi alla nostra Costituzione.
Mettendo il paese in una sorta di totale clausura con sospensione di ogni attività produttiva, tranne quelle legate agli approvvigionamenti alimentari.
Mentre non abbiamo visto grandi risultati nei tentativi di studio per pianificare nel bel mezzo della diffusione, una risposta attenta e rapida per un’anticipata uscita dal confinamento e soprattutto per la ripresa delle attività produttive, nonostante illustri specialisti stessero ogni giorno a discettare, ovviamente con posizioni, talora contraddittorie,su cause, trasmissione del contagio e cure sperimentali.
Agendo, soprattutto nel primo periodo, in una situazione di assoluta approssimazione, anche scientifica, con informazioni che poi si sarebbero rivelate, in un quadro di maggiore approfondimento,non sempre convergenti: eppure la Cina aveva già dato degli input.
Con l’effetto che gli ospedali anziché essere luoghi di cura della malattia ne sono diventati le principali fonti di contagio.
Quello che è sembrato eccessivo è stato il ricorso ad un confinamento generalizzato, che seppur valutato come miglior presidio per un’efficace tutela della salute e della vita delle fasce più deboli, non si è conciliato agevolmente con la nostra tradizione garantista, attenta alla dignità della persona nella sua ampia sfera di libertà, secondo le declinazioni della nostra Carta Costituzionale.
Così, come unica e netta risposta,il nostro paese si è chiuso a riccio appena scoperto che il virus era entrato nel nostro territorio, dopo che nessuno si era accorto che da circa un mese e forse più circolava,soprattutto, nel nord Italia, anche per una concomitante carenza di informazione dettagliate e puntuali ad opera dell’Oms.
E a differenza della Cina, che ha potuto isolare la provincia di Wuhan, di 50 milioni di abitanti, preservando il resto del territorio, da noi si è di colpo deciso di blindare tutto il paese,anche se la diffusione appariva concentrata al centro nord.
Così il vulnus sui nostri fondamentali diritti, da noi è stato ad ampio raggio.
E non si è risparmiato nessun ambito della sfera di libertà della persona con la sottrazione di ogni angolo, persino di ciò che ne fosse l’espressione più sentita dell’esercizio che ne caratterizza le libertà di culto e il rapporto dell’uomo con Dio, nelle diverse modalità di comunione con gli altri.
Invece di farsi trascinare dalla “sindrome cinese” con misure indifferenziate, non dissimili dagli arresti domiciliari, per ben oltre due mesi,sarebbe stato doveroso apprestare nei giusti tempi le migliori capacità e competenze, visto che dei piani di prevenzione dovevano già esserci.
Mentre le innumerevoli commissioni pletoriche non pare abbiano portato grandi cambiamenti di strategie nello studiare le più appropriate forme di diversificazione delle condotte sociali in relazione a valide alternative di contenimento,come aveva ben intravisto l’intuito di qualche virologo dissonante, (che ha indovinato la strategia di lotta nelle regioni del nordest,consentendo un più rapido allentamento delle misure) e che avevano suggerito un diverso protocollo di contenimento facendo ricorso, visto che il virus era stato subitaneamente mappato, a screening,tamponi dedicati e campionamenti selettivi mirati.
Tutte cose di cui non avevamo alcuna scorta,neanche nelle materie prime.
Come invece si è fatto in Germania ed in altri paesi europei ove i governi, per non rischiare di mettere in ginocchio il sistema economico del paese hanno mantenuto in attività il sistema produttivo.
Ora, dopo oltre due mesi di confinamenti personali e arresto di ogni attività imprenditoriale, salvo le filiere degli alimentari e qualche altra piccola attività, non ci si rappresenta facile il compito di come far ripartire il sistema produttivo, prostrato da un blocco che ha provocato desertificazione e enormi perdite di fette di mercato estero, giacche i partner commerciali hanno avviato contatti e scambi con nuovi produttori rimasti presenti nel mercato.
E certo non sembra giocare a favore, in questo quadro,nel quale si doveva tendere ad una forte capacità di rafforzamento degli obiettivi di solidarietà dell’Unione Europea e di armonica regolamentazione delle normative fiscali e societarie, ad una intensificazione del partenariato commerciale con gli Stati Uniti, l’avventuristica pretesa di creare relazioni privilegiate con la Cina, oltre quelle di un già avviato partenariato commerciale, che già aveva una sua solidità, grazie al dinamismo delle nostre imprese, correggendo,non di poco, le direttrici della nostra politica estera, attestata,dal 2^ dopoguerra, su una geopolitica di saldo atlantismo e di forte attenzione al quadrante mediterraneo.
Con la scelta di riesumare la “via della seta” che deve il nome al nostro Marco Polo nel suo diario “Il milione”, si è aperta inevitabilmente la strada ad una graduale invasione nel nostro tessuto produttivo di massicci acquisti di compartecipazioni con il rischio di esporci, in questi prossimi mesi, ove si prevedono emersioni di forti sofferenze debitorie e rischio di fallimenti a catena, per la peculiare caratteristica dell’interdipendenza del nostro indotto produttivo,alla colonizzazione finanziaria e commerciale che il paese del dragone sta tessendo con raffinata strategia di persuasione.
Una capacità di ramificazione e soprattutto di investimento di capitali che è risultata già vincente in molti paesi dispotici o con parvenze di Stato di diritto, soprattutto nel continente africano, noto per le enormi debolezze strutturali e la fragilità dei loro sistemi politici, cui stanno affiancando una strategia di sottile persuasione, con iniziative di solidarietà sicuramente sincere, ma che certamente non paiono avulse da una strumentalità di obiettivi a lungo periodo.
A questo sembrano volgere i diversi invii di presidi sanitari (emblematiche a tal proposito,le passerelle sui media del nostro Ministro degli Esteri, mentre compiaciuto, accoglie, ora materiali sanitari, sulle cui qualità qualche governatore ha avuto da ridire, ora medici volontari cinesi) di cui ne erano quasi divenuti in questi anni gli esclusivi produttori.
E mentre da noi si è cercato di rimediare all’imperdonabile impreparazione con massicce richieste di importazione da quel paese, ancora oggi vengono denunciate carenze di mascherine, soprattutto a prezzo calmierato e di ricambi degli strumenti sanitari essenziali, non pare stia andando così nei paesi con più solidi sistemi imprenditoriali, come i molti paesi del nord Europa, che in previsione della pandemia hanno saputo tempestivamente riconvertire le produzioni per approvvigionarsi in tempo del materiale sanitario.
Essendo riusciti nel contempo a diversificare le limitazioni e salvaguardare il loro sistema produttivo senza spegnerne, mai o quasi mai, i motori.
Mentre noi ci stiamo chiedendo come e con quali strumenti e risorse potremo dare la spinta giusta alla ripartenza del paese.
Le previsioni di certo non ci aiutano.
Si stima una perdita di circa otto punti di PIL, anche se,secondo alcuni analisti,probabilmente si rischia di andare oltre.
E il reperimento delle risorse non sembra, almeno fino a questo momento, aver dato buoni frutti, tra dispute accese sul Mes e politiche di rilancio assai inadeguate, in confronto alle poderose immissioni di immediata liquidità nei loro sistemi dei partner europei e d’oltre Atlantico.
Stiamo scontando un pesante prezzo per le politiche di ribaltamento disinvolto delle nostre strategie internazionali, da sempre fedeli ad una posizione geopolitica che ha consentito all’Italia di acquisire nel concerto delle nazioni una posizione di rilievo.
Mentre con frustrazione temiamo un preoccupante processo di svendita del nostro sistema produttivo all’egemonia finanziaria del paese asiatico che sta approfittando delle politiche spericolate di lento disimpegno dalle vecchie alleanze, per mettere in atto la colonizzazione commerciale e infrastrutturale del nostro paese e come alcuni sospettano,con la tecnologia dei 5G, un probabile sistema di controlli da remoto che sembrano anticipare e sopravanzare le più impensabili previsioni.
Così non sembrano fantasie le tante preoccupazioni su strategie sempre più verosimili mirate ad una tendenza a nuove frontiere di governo dei popoli nelle mani di élite potenti e invincibili,volte a creare un’egemonia irreversibile su gran parte delle risorse del mondo.
Preoccupazione che unisce i tanti versanti del mondo laico e cattolico.
Tanto non si contano i documenti ed i manifesti che mettono a nudo le incongruenze e le inadeguatezze delle risposta politica tra cui quella messa in campo dal nostro esecutivo.
Tra essi spicca il documento di un gruppo di vescovi denominato ” Appello per la Chiesa ed il mondo” che segue di circa due settimane il documento della CEI, anch’essa protagonista di una presa di posizione contro, tra l’altro, il diniego, nel penultimo d.p.c.m., della partecipazione dei fedeli alle messe ed ai culti ed alle liturgie della Chiesa,nonostante le rassicurazioni di appropriati presidi di distanziamento da parte dei celebranti e tra i fedeli.
Quello che è singolare invece nel documento “ Appello alla Chiesa ed al Mondo” è la vigoria di linguaggio e la malcelata volontà di non deflettere, nei postulati di difesa delle prerogative di esercizio della missione spirituale, dalla ferma posizione di ritenersi presidio e baluardo dei diritti della persona,nei quali si compenetra la libertà di culto e l’esplicazione della sfera spirituale di ciascuno,in una declinazione dalla connotazione più temporale che spirituale, che, benché suscitato da un esercizio politico deviante rispetto ai limiti di esercizio dei poteri, fa, nondimeno,un certo effetto leggere parole e propositi così duri da chi ha in cura le anime.
Appello che si pone in palese disallineamento con l’indirizzo molto più misurato e cauto del documento della CEI e con le parole del Papa,che,pur dolendosi grandemente della privazione di diritti e dell’accentuarsi del numero di persone esposti a quotidiana mancanza di mezzi di sussistenza, per sincero amore dell’umanità e tutela della vita,ha preferito portare obbedienza alle leggi, quand’anche esse se ne fossero rivelate ingiuste, nell’impedire l’esercizio delle spiritualità nei luoghi santi e di culto,senza però abdicare ai moniti per la totale liberazione dalle schiavitu’ ed alla sua missione evangelica tesa alla realizzazione della piena convivenza pacifica e solidale dei popoli.
Ci piacerebbe sentire chiaro e forte, invece, dalle forze politiche una presa di posizione su quale idea di paese e quale modello di sviluppo si vuole andare a percorrere per uscire prima possibile dall’emergente forte recessione che sta per attanagliare il paese, rivelandosi assai insufficienti le risorse che lo Stato ha provato a mettere in campo, ben lontani dalla giusta misura per salvare dalla bancarotta migliaia di aziende e posti di lavoro nei prossimi mesi.
Mentre, in questo contesto, non sfugge ai tanti, l’impressione,che in maniera impalpabile, si stia profilando accanto alla tensione egemone di una grande e dispotica potenza, come la Cina, un non meno inquietante estensione di poteri egemonici sull’intera umanità, da parte dei tanti magnati e concentrazioni oligopolistiche, proprietari di immense risorse e di tecnologia avanzata dell’intelligenza artificiale,capaci di sostituire facilmente,da qui a poco, con estesi ricorsi a processi lavorativi automatizzati, masse di lavoratori, con ripercussioni sociali incalcolabili e facile messa in pericolo delle democrazie.
Non è un caso che questo ristrettissimo gruppo di potenti detentore della maggior parte della ricchezza mondiale si stiano facendo avanti con sostegni e strumentali donazioni per la ricerca di vaccini e medicine, lasciandoci intendere che il futuro dei popoli e dell’umanità intera, oltre che al possesso delle fonti idriche energetiche e dei più avanzati processi tecnologici,passa soprattutto attraverso il possesso di questi strumenti di difesa farmacologica, in una possibile quadro di replicazioni e diffusioni virali.
Insidie rese ancor più attuali dalla crisi dell’ecosistema che potrebbe liberare dai ghiacciai, in crescente scioglimento, virus letali.
Scenari che questa situazione emergenziale globale ha reso ancora più evidente, e può occasionalmente costituire un primo generale esperimento, mai verificatosi prima in così larga misura, in tema di contenimento delle libertà a fini di tutela della vita e una verifica delle reazioni sociali in frangenti così insidiosi per tutti, ma può dare la stura a progetti di egemonia sul mondo che la crescente concentrazione e l’ancora più facile impossessamento, per lo stremo di tante economie nazionali dei paesi in difficoltà, delle essenziali risorse della Terra, può favorire,così da portare una stretta oligarchia di proprietari della maggior parte della ricchezza mondiale ad un incontrastato dominio delle comunità nazionali, con controllo sociale e di ciascun individuo, attraverso gli strumenti più sofisticati dell’intelligenza artificiale.
Con l’effetto di soggiogare e governare, in quanto detentori delle cruciali risorse del pianeta, le comunità di popoli nei loro essenziali bisogni.
E il rischio di compromissione ed evanescenza dei sistemi democratici e dello Stato di diritto appare assai elevato.
Mentre la condizione umana retrocederebbe ad un nuovo “stato di natura”, di hobbesiana memoria, rendendo di nuovo l’Uomo lupo per i suoi simili (homo homini lupus).
Speriamo sia solo un eccesso di fantasia.
Roma,12.05.2020

Luigi Rapisarda

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