Con sentenza n. 8425 del 30 aprile 2020, la quinta sezione civile della Corte di Cassazione ha dichiarato che il ricorso è inammissibile se non è chiaro e sintetico circa i fatti e le categorie giuridiche sui quali si vuole che venga deciso.
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Dalla superiore sentenza emerge un vero e proprio decalogo che la Cassazione impone alla luce del principio del giusto processo sancito dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Secondo il suddetto principio, il diritto di difesa va assicurato senza oneri superflui a carico dello Stato e delle parti.
In sintesi, la Cassazione afferma che è necessario offrire il distillato delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o definite in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni della critica entro il catalogo di vizi di cui all’art. 360 cpc. In caso contrario, se cioè il ricorso è privo dei requisiti fondamentali, oltre a risultare difficilmente comprensibile per l’uso di una prosa involuta e di elementi di fatto e di diritto sovrapposti, l’inammissibilità è automatica.
In buona sostanza, anche se il ricorso composto da molte pagine non è di per sè sanzionato, scatta la violazione dei n.ri 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. quando risulta oscura l’esposizione dei fatti e confuse le censure mosse alla sentenza.
In altre parole, il principio di chiarezza e sinteticità nell’esposizione degli atti processuali, stabilito dal codice del processo amministrativo, opera anche nel giudizio civile e chi non lo rispetta va incontro all’inammissibilità, perché pregiudica l’intelligibilità della questione rendendo oscura l’esposizione dei fatti e confuse le censure mosse alla sentenza di appello impugnata.

Cass. Civ. Sent. n. 8425 del 2020

Salvatore Torchia

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